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Theatre - Theatre Artists & Authors - Interview | by SuccoAcido in Theatre - Theatre Artists & Authors on 01/09/2002 - Comments (0)
 
 
 
Alfonso Santagata

C'è quasi un’urgenza di creare, in uno spazio itinerante ed unico, una vicenda che parte dagli antichi e dai loro miti per fare emergere ciò che eccessivo ed inesorabile sembra in qualche modo appartenere alla contemporaneità: sentimenti e passioni, vincoli di sangue e conflitti per nuove egemonie.

 
 

Si consultano oracoli e si interpretano vaticini: per conoscere il proprio destino gli uomini interrogano gli indovini, in molti casi disattendendone le profezie e maledicendoli. E la tragedia ha nuovamente inizio. Tragedie che con insistenza mostrano padri e madri, sposi, fratelli e figli uniti da vincoli feroci. Edipo figlio di Laio e padre di Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice, consegnato per sempre al proprio destino da una terribile genealogia fatta di crimini portati all'estremo. A Zeus il regno dei cieli, a suo fratello Ade, dio dei morti, il regno sotterraneo. Tutti gli uomini finiscono nell’Ade e diventano ombre che appaiono e scompaiono. Le creature eterne, ritornano. C'è quasi un’urgenza di creare, in uno spazio itinerante ed unico, una vicenda che parte dagli antichi e dai loro miti per fare emergere ciò che eccessivo ed inesorabile sembra in qualche modo appartenere alla contemporaneità: sentimenti e passioni, vincoli di sangue e conflitti per nuove egemonie. Il Cretto di Gibellina scolpisce la vastità di una distruzione che è stata opera della potenza cieca e terribile della natura. Lì rivivranno le vicende della stirpe di Leo, attraverso le quali il teatro continua a raccontare di una potenza che sa farsi ancora più temibile, quella dell'uomo che, come canta il coro degli anziani di Tebe, asservisce la natura, solca i mari e doma gli animali, ma ancor più temibile può essere volgendo al male il proprio ingegno e dispensando morte e sottomissione. Una sorta di penitenza feroce, che continua a farci tornare su queste trame ancestrali, di tempo in tempo, di spettacolo in spettacolo. Così questa “Tragedia a Gibellina” sarà un nuovo, originale sviluppo di un indagine di cicli tragici iniziata dal regista ed ideatore Alfonso Santagata con “Tragedia a mmare” ed “Eidos”. Proprio in occasione dell'edizione a Gibellina di Tragedia abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo per discutere del suo lavoro geniale e visionario.

SA: Il discorso intorno il mondo tragico nasce intorno alle suggestioni del luogo o da altre anteriori ai laboratori che hai tenuto il 5 agosto a Gibellina?

AS: Il lavoro sulla tragedia greca per me è iniziato da parecchio tempo. Ho già lavorato sugli Atridi con lo spettacolo EIDOS, quindi i miei interessi risalgono al mondo pretragico. Parto da Omero e dalle due famiglie disgraziate, nonché da quei conflitti sviluppati poi da Eschilo, Sofocle, Euripide. Ho lavorato proprio sulle famiglie e l'argomento è così vasto da poter ricavarne altri 50 spettacoli diversi. Questo progetto è iniziato prima di Gibellina e continuerà ancora, lo chiamerò "tragedia a Milano" o "Torino" a seconda del luogo che ospiterà il lavoro. Faccio comunque un lavoro sul luogo, ma non localistico; ad esempio a Gibellina ho evitato di far leva sulla tragedia del terremoto per non restare confinato in una dimensione legata ala storia ed alla cronaca. La tragedia invece contiene elementi e situazioni che sono atemporali ma cariche di un energia potenziale che soltanto determinati luoghi riescono ad attualizzare. Nello spettacolo ci sono momenti dove ho dipinto il luogo di rosso, ma non per richiamare il sangue, piuttosto per fare emergere altre tragedie. Ho lavorato molto sui colori: il teatrino rosso di Edipo, la camera di Antigone e Polinice, la stanza bianca di Clitemnestra…..

SA: In che modo il laboratorio che ha tenuto con i ragazzi del luogo si è intrecciato con lo spettacolo?

AS: Lo spettacolo è un lavoro fatto a monte con gli attori della compagnia, che continuo a portare da nord a sud; ma il coro, i messaggeri, le guide turistiche che dirigono i percorsi dello spettacolo, sono tutti ragazzi del luogo. Per me il laboratorio è un pretesto per incontrare delle energie umane, il loro mondo, la loro esperienza, la loro tensione.

SA: Questi luoghi purtroppo sanguinano non soltanto per la memoria del terremoto. Mi incuriosiva sapere di quale memoria si fanno portatori i ragazzi con cui lei ha fatto il laboratorio. Questa è una terra di mafia, di famiglie che si sono ammazzate per un potere mafioso. Siamo a 2 passi da Partanna e penso a Rita Atria…che tipo di suggestioni sono venute fuori dal laboratorio?

AS: E' un discorso implicito nello spettacolo. La figura di Creonte è un personaggio molto simile ad alcuni del governo attuale, disposti per regole di governo e potere ad uccidere i sentimenti. La mafia oggi non è più la lupara ma è il potere che gestisce il turismo o grossi progetti multinazionali, roba che non puoi controllare. Il problema è chi alimenta questi poteri? Certo oggi noi ci siamo abituati ad un governo che alimenta il mercato, il cinismo, il profitto, ma che umanamente non alimenta assolutamente nulla.

SA: Ha parlato di incontrare delle energie umane; mi chiedo se lei lavora su una drammaturgia d'attore ed il suo lavoro sul testo venga dopo. Come procede?

AS: Io non lavoro mai sui personaggi, lavoro molto sulle situazioni, sulle attitudini. Io lotto affinché l'attore sia artefice e non esecutore.Io arrivo sempre con delle situazioni ed immagini che sono il punto di partenza su cui lavorare…arrivo con una scaletta, un pretesto che sia una possibilità di sfogo per certe sensazioni anche molto lontane dall'autore. Comunque comunico molto con i miei attori prima di andare in scena, non sono mai in cerca di attori cosiddetti bravi. Ho bisogno di avere una specie di innamoramento, se non c'è un segreto, qualcosa, altrimenti è difficile lavorare. L'incontro mi permette di portare alla luce qualcosa che finora non si è ancora rivelato.

SA: Molti quadri scenici sembrano debitori di alcune pitture iperrealiste ed anche di un certo tipo di cinema.

AS: Si certo, sono molto suggestionato dalle arti visive, e dal cinema moltissimo. Tra l'altro sono stato uno dei primi ad usare il cinema come linguaggio drammatico. Sono stato anche uno dei primi a fare uno spettacolo in carcere, a Lodi, un video d'autore prodotto per Raitre in cui cerco di intersecare questi linguaggi in luoghi suggestivi. Uso molto i primi piani ed i campi lunghi anche in teatro.

SA: Che difficoltà riscontra nella circuitazione dei suoi spettacoli in Italia?

AS: Abbiamo lavorato molto in Sicilia, al Biondo di Palermo ed al Libero di Mazzone, dove ho fatto molti spettacoli. Con Beno Mazzone ci conosciamo da 25 anni, ma adesso siamo in attesa di capire qual è la situazione, e non è semplice. I grandi circuiti culturali sono abbastanza chiusi, e ci sono altre situazioni come il Garibaldi o il Libero che rendono visibili certi lavori. Ogni volta che siamo venuti in Sicilia abbiamo trovato una grande attenzione ed ospitalità ma la politica di certi circuiti rende le cose difficili, un po’ come accade anche in Sardegna.

SA: Lei è direttore della sua compagnia teatrale KATZENMACHER: nel nome "compagnia" c'è il ricordo di un teatro d'altri tempi, di famiglie d'attori, generato da legami e non da incontri occasionali, che viveva anche di appuntamenti regolari, con un pubblico ed un territorio. Ma anche tutte le difficoltà della distribuzione, oggi come allora; il sistema teatrale in Italia non sembra esser cambiato molto…..

AS: Io spero solo che si aprano nuovi spazi, che i giovani creino nuovi circuiti, e che questi eventi abbiano respiro, aperture, evitando le chiusure causate da certe politiche…

 


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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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Pen: Angela D'Alia

 
 
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