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Teatro di Fuori / Turi D'Anca |
Nel percorso di ricerca del Teatro Di Fuori, risiede la consapevolezza di poter espletare un rito in qualsiasi luogo, assorbendone l’energia, trasformandolo in tempio senza tempo, attraverso un teatro che possa essere percepito da tutti, consciamente, come atto di liberazione, fatica e metamorfosi. |
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SA: "Oggi, dove sono arrivato, sapendo da dove sono partito...sono già in paradiso!" —Parole tue...Cosa significa?
TD: Beh...potrei rispondere negando che io l’abbia mai detto; in realtà, so quando e a chi l’ho detto...mi riferisco al livello di coscienza psico-fisica che, oggi, credo di aver raggiunto, ed è sempre un inizio. Ogni esistenza è singolare, ma posso ritenere fuori dall’ordinario la "sceneggiatura" della mia vita...sono cresciuto all’interno di una famiglia di contadini, emigrati in Germania, con la fortuna (o sfortuna?!) di arrivare in Sicilia a dieci anni, con i doni della lettura e del teatro attivi sin dai sei, per un’educazione elementare ricevuta in un collegio di suore salesiane, il Rifugio del Piccolo Orfano a Montanara Curtatone. In realtà era un’istituzione dove si formava la borghesia mantovana, per cui divisa, lezioni di dizione e portamento...ed ero l’unico di origine siciliana (minchia..)
SA: E come ne sei uscito?
TD: In realtà nel 1980 mio padre ebbe un incidente sul lavoro e, non potendo più pagare la retta, arrivai in Sicilia, ad Alimena, dai miei nonni, contadini e molto all’antica...col senno di poi, posso analizzare la mia situazione emotiva d’allora.. ero totalmente estraneo alla lingua, all’energia "primitiva" delle persone (era in atto una sorta di guerriglia urbana, che coinvolgeva tre generazioni, tra chi abitava sopra la piazza e chi sotto) e, soprattutto, mancavo di un elemento fondamentale, per entrare in contatto con i miei coetanei...non sapevo giocare a calcio. Potevo esprimere me stesso solo a scuola, e proprio alle medie le insegnanti litigavano, per avermi nei loro spettacolini...in un episodio due mie insegnanti s’azzuffarono, perché nella recita di una dovevo fare il dottor Balanzone e nell’altra Arlecchino.
SA: Chi vinse?
TD: Entrambe... li feci tutti e due, uno dopo l’altro e tutti fummo felici e contenti.
SA: Bene, dovevi esserti inserito perfettamente..
TD: Non proprio..da lì, a dodici anni, chiedo al Sindaco di aprire la biblioteca, per continuare a mantenere viva una possibilità d’evasione mentale. A partire dai quindici anni, con il ritorno dei miei...a causa di seri problemi di natura economica, ho iniziato a fare tutti i lavori che si possono fare in un paesino dell’entroterra siciliano (caricatore di fieno, spacca pietre, motozzappista etc). Ebbene, lottando con la terra per necessità e dovendo permanere ad Alimena, ho vissuto tutti i limiti dell’ignoranza dei paesi, conservando, tuttavia, la capacità di cogliere valori epici, che raramente troviamo nelle città.
Poi sono stato un moderno brigante...
SA: In che senso?
TD: Beh! Diciamo che ho avuto un momento...durato due anni, dove ho reagito in maniera molto "solida e dinamica" alle ingiustizie che mi trovavo davanti. Mi sono preso la sindrome di Robin Hood: tra le cose che si possono dire...mi picchiavo per chi era diverso e per chi non era predisposto a lottare contro gli abusi subiti. Ero molto arrabbiato...per fortuna un novizio francescano mi aprì il cuore e la mente ed è lì, casualmente, che riemerge il teatro.
SA: Casualmente?
TD: Sì, del tutto, a causa del terremoto in Messico... partecipando ad una riunione che serviva a trovare delle idee, per raccogliere dei soldi. Andai a letto, l’indomani mi misi a scrivere una commedia con 25 personaggi, una settimana dopo insistevo affinché le persone che avevo supposto per la parti aderissero. Non fu facile convincerli, per tanti motivi: molti di loro lavoravano con i muratori, in campagna...un meccanico l’ho costretto dopo tre giorni di permanenza nella sua officina. Ma, dopo un mese di prove, miracolo... la commedia che doveva fare una replica, fece il tutto esaurito, per otto domeniche consecutive.
SA: Vorresti dire che da allora ti occupi di teatro?
TD: Da lì il teatro entrò ufficialmente nella vita di Alimena; era divenuta una grande forza di aggregazione, una forma di riflessione sociale, una possibilità di mostrare le cose, così come sono nella realtà, facendole diventare comiche o tragiche. Per questo ogni spettacolo è diventato un evento della collettività, perché ha abbattuto totalmente la divisione tra i ceti sociali...dice Shakespeare "Il teatro è lo specchio della realtà".
SA: Ma da qui ad arrivare alla tua preparazione e al metodo del Teatro Di Fuori il passo è lungo. Mi riferisco all’Accademia, alla formazione in giro per il mondo, ai premi internazionali, ai "risvegli" dei disagiati senza speranza, alla bravura dei vostri allievi...è ancora un caso?
TD: Ancora il caso... ero all’Università di Palermo, abitavo al Pensionato e, durante l’occupazione del ’93, mi venne di scrivere, con Joseph La Franca, una commedia ("Incoerenza") sulla perdita d’identità del popolo di sinistra italiano. Una mia amica pensò bene di mandare, a mia insaputa la richiesta d’ammissione all’Accademia D’Arte Drammatica della Calabria, mi chiamarono per il provino, tre giorni di selezioni. Non avevo mai visto uno spettacolo teatrale, mai messo piede in un teatro, non m’importava nulla di fare l’attore di teatro, figurarsi di fare una scuola di teatro...la commissione, di cui facevano parte Alvaro Piccardi, Luciano Lucignani e Maurizio Gueli, mi prese.. il primo giorno! Lì ho incontrato Alejandra Manini, una regista argentina, la mia maestra, che mi ha fatto conoscere il metodo del Teatro dell’Oppresso, iniziando a capire che il teatro può servire a coscentizzare le persone sulla propria identità e, forse, anche a mettere in guardia chi opprime, che la Libertà esiste.
SA: Alt, ci sono! Il vostro ultimo lavoro, "Pi un teatro Clandestino", parla proprio di questo: l’Arte e la Libertà. È una denuncia?
TD: L’arte e la libertà non dovrebbero essere dissociate. Ciò che fa il TDF è continuare a svegliare le persone da Matrix. L’Orazione Scenica Pi un Teatro Clandestino, dedicata a T. Kantor, è un atto eversivo, ma anche pedagogico nei confronti di una nuova genesi di partecipanti all’arte, che deve essere di tutti e per tutti, libera dalle leggi del mercato e dalla vuota forma estetica. Allo stesso tempo è un’arringa, contro chi trasforma gli spazi in mercati di consumo.."una stalla può diventare un tempio e restare magnificamente una stalla".
SA: Ok...siamo partiti: fine prima parte. Da qui ad arrivare al "paradiso" avremo modo di concepire nuovi interrogativi sull’evidenza del fatto che sei realmente Fuori. Che ne pensi?
TD: Penso che anche stanotte posso morire, e quelli di "fuori" sono un bel gruppo di persone o singoli individui, che fanno diventare fatti il talento di elargire coscienza, energia e, a volte, anche miracoli. Poi, nell’eventualità in cui non ci dovessimo più vedere, sai com’è, il caso...il paradiso è la facoltà di percepire che esiste un mondo migliore, e che i bambini ne hanno i codici d’accesso: impariamo da loro. |
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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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