Il teatro delle ariette coltiva da tempo un codice teatrale semplice e diretto, adoperare la stessa cura per vivere il teatro e lavorare la terra dell'omonimo agriturismo...
Vieni su alla casa
I mari sono in tempesta e non riesci a trovare un porto
Vieni su alla casa
Non c'è niente al mondo che tu puoi fare
Vieni alla casa
(Waits Brennan)
"Capita a volte che un temporale distrugga il teatro di cartone che abbiamo costruito e che per un momento, prima di ricostruirlo di nuovo, riusciamo a vedere attraverso il nostro lavoro, attraverso la nostra vita, riusciamo a vedere le ossa del mondo, la verità delle pietre che stanno sotto la terra portata via della fiumana di un acquazzone estivo. Capita a volte che ci sia un'ora felice, un giorno fortunato, nel quale il vuoto smette di farci paura. Un posto di cui ogni tanto sento di avere bisogno. Non un posto speciale, soltanto un posto, un'ora felice in un giorno fortunato."
SA: Il teatro delle ariette coltiva da tempo un codice teatrale semplice e diretto, adoperare la stessa cura per vivere il teatro e lavorare la terra dell'omonimo agriturismo, luogo in cui il teatro lo avete in qualche modo riscoperto. Qual è stato il segreto che vi ha permesso di riscoprire il teatro dalla terra?
R: Noi abbiamo una storia particolare e discontinua. Le origini risalgono al 1982 83, a Bologna facevamo teatro chiamandoci " baule dei suoni". Poi ho deciso seriamente di occuparmi di teatro per passione, e lo abbiamo fatto fino all'89. Il mondo del teatro è brutto e bello nello stesso tempo, ed a volte capita di sentirsi arido, sembra di discutere sempre e sempre di teatro…se fai uno spettacolo pensi solo se viene un critico a vederlo, se ci scrive, come scrive, e ti domandi " ma io che cazzo ho da dire? Niente!"; mettici anche che non si guadagnano tanti soldi, anzi non si guadagna proprio niente…se sei fortunato sopravvivi. E' stata Paola a convincermi che forse sarebbe stato meglio abbandonare. Ed abbiamo effettivamente abbandonato. La campagna è poi venuta un po’ per caso, adottando un podere comperato da mio padre negli anni 60, periodo in cui tutti abbandonavano le campagne per trasferirsi in città. La casa era abbandonata, le terre abbandonate, allora abbiamo deciso di coltivare la terra ed avviare in questa piccolissimo terreno di 3 ettari (in una zona svantaggiata) un agriturismo, che ci ha permesso di vivere. Noi siamo riusciti a vivere ed a spendere poco, mettere anche 2 soldi da parte, e ci è tornata voglia di condividere le esperienze che stavamo facendo; così abbiamo ricominciato a fare teatro proprio a casa nostra. In realtà originariamente cercavamo un capannone palestra dove provare; poi -per evitare tanto stress- abbiamo deciso di adattarci nello stanzone dell’agriturismo (6 metri x 4), ed abbiamo iniziato a produrre i primi lavori, invitando le persone a vederci pagando un offerta libera. In fondo avevamo la fortuna di non doverci più campare di solo teatro, quindi facevamo quello che ci pareva e quando lo volevamo.
SA: Poiché portate voi stessi in scena vorrei sapere quale è la vostra idea oggi di teatro e soprattutto di relazione con il pubblico.
R: Io lo chiamo teatro per convenzione, in realtà facendolo ti accorgi dell'esistenza di elementi nuovi, come la vicinanza con il pubblico. Riscopri il valore dello spettatore che non è li solo per farti un piacere, anzi sono io a scoprire un piacere molto bello a mio avviso, quello dell'incontro. Quando fai teatro così vicino tutto viene messo in discussione; quindi o possiedi qualcosa di veramente interessante da trasmettere o ci rompiamo tutti i maroni a far finta rispettivamente di essere il grande attore o lo spettatore interessato. Quello che ti interessa è riuscire a costruire un organismo suscettibile di tutto quello che può succedere nell'incontro tra più persone, e di mettersi al servizio di queste persone cercando di costruire una situazione dove possa esistere uno scambio di pensieri ed emozioni. E allora la cosa fondamentale, come fa anche Ascanio Celestini (che non racconta la propria storia ma è li presente come Ascanio) è essere lì in quel momento. Siamo su un palco, mica siamo su una foresta incantata …il patto fondamentale è non fingere di essere da un'altra parte, e solo così, secondo me, può nascere qualcosa…
SA: Avendo iniziato in maniera autonoma avete avuto il coraggio di non appoggiarvi ad enti statali, come fanno molti altri gruppi. Che rapporti avete con queste realtà burocratiche? L'ETI non si è mai accorta della vostra importanza?
R: Con l'ETI il problema è sempre quello di riuscire a costruire un dialogo, ma ci si trova davanti sempre parecchi problemi, soprattutto economiciurocratici. Siamo stati al crt a gennaio di quest'anno, abbiamo portato" teatro da mangiare" e, nonostante il tutto esaurito e le liste di attesa, c'era sempre un limite fissato a 25 spettatori. Io non mi sentivo di chiedere 50 milioni e mi sono accontento di molto meno, ma voglio che quei pochi che ho richiesto vengano dati…allora ho stipulato il contratto indicando che me ne diano metà subito e metà a 60 giorni…ma la realtà è che stiamo ANCORA aspettando un quarto dei soldi dopo aver fatto le repliche a gennaio; in compenso i contributi li devo pagare subito! Poi c'è una cosa un po’ paradossale: io, essendo contadino, pago i contributi da contadino…però quando lavoro a teatro pago i contributi all’Enpals. Abbiamo cercato di trovare una soluzione comune ma non si riesce a trovare una via d'uscita. Io lavoro 10 giorni in campagna, 3 a teatro e non posso pagare tutte queste tasse…
SA: certo, è un gran casino...con l'ETI ci sono delle belle intuizioni ma non hanno contatto con il territorio, non investono sulle realtà che hanno messo le radici…
R: Da 7 anni sviluppiamo un progetto di teatro nelle case, con ottimi risultati. Da casa nostra la manifestazione si è allargata interessando tutto il comune di Castello di Serravalle, poi i comuni vicini -che sono quasi autogestiti-, invitiamo compagnie che fanno lavori proponibili in ambienti ridotti, e mi da molte soddisfazioni. Facciamo un festival in autunno alla fine di ottobre di 4 giorni e poi in primavera andiamo in tournee. 2 spettacoli girano in diverse case, perché ci sono sempre un numero limitato di spettatori che possono vederlo, quindi devi riproporre lo stesso spettacolo 6 volte in giro.Noi eravamo andati all'ETI per discutere dei nostri risultati, mica chiedendo 200 miliardi, ma chiedendo quel piccolo aiuto che ci permetterebbe solo di lavorare più serenamente. Noi quando facciamo i nostri spettacoli ci rimettiamo, ma è un investimento che mi piace fare perché in fondo io mi diverto davvero. Il problema dell'ETI è questo; che dovrebbero essere molto più attenti al territorio ed a ciò che sta crescendo su quello che già ha le radici.
SA: Credo che come voi molte compagnie facciano salti mortali pur di riuscire a sopravvivere (e questo accade spesso anche nel mondo della musica indipendente). Credi che questa situazione possa evolversi?
R: Secondo me da una parte non dico di essere contento di questa situazione, perché non quella giusta, ma chi ha veramente una necessità sta cercando di inventarsi qualunque strategia per sopravvivere. Noi con il progetto del teatro nelle case, per 3 anni almeno, ci siamo totalmente autofinanziati, ci siamo anche costruiti un deposito attrezzi che è diventato spazio teatrale. Ci siamo autofinanziati perché il rapporto con le istituzioni si burocratizzava e diveniva complicato. La provincia di Bologna, che ha dentro una persona davvero intelligente e sensibile, adesso ci da poco ma è già qualcosa, un segno. E con quello che ti dà sei libero, tu, come vuoi, senza ricatti. In queste situazioni di difficoltà chi ha le idee sta piano piano cercando di costruire una alternativa, anche più sana. L'arte è bellissima ed io non potrei viverne senza, però bisogna anche fare i conti con i profili economici. Se tu hai un idea meravigliosa ma assorbi 7 miliardi per uno spettacolo, non capisci che tutti gli altri si seccano. È come se io innaffiassi una pianta sola. Diamone un po’ a tutti… ma le politiche sono molto contrarie ai finanziamenti a pioggia. Io l'ho detto tante volte, non ho fatto mai richieste per il ministero e non li richiederemo perché non li vogliamo fare. Io per fare una vita appena più decente non ho mica bisogno di 400 milioni, a me ne basterebbero 40; invece il meccanismo è che tu devi sempre diventare un elefante e carburare 400 milioni…ma non va bene se siamo 10 con 40 milioni per ognuno? Io ho sempre pensato in campagna, nell'agriturismo, che ci sia un posto per tutti. Appena fai un progetto grosso sembra che diventi interessante… E' una strategia perversa perché con questo meccanismo trovi tanti soldi. Chi ha la vocazione a fare teatro piccolo secondo me fa bene e dovrebbe continuare a farlo. Noi ci siamo tolti una piccola soddisfazione: con "teatro da mangiare" facciamo sempre tutto esaurito.
SA: Vuoi parlarmi degli elementi scenici che utilizzate nei vostri spettacoli ?
R: (ride) Si, ci sono alcuni elementi che sono come un gioco: il ventilatore che utilizziamo, in genere viene usato in campagna per pulire i fagioli. Per cui è un elemento della mia agricoltura, nonostante sembri apparentemente strano come oggetto. Un altro elemento della mia agricoltura, presente nello spettacolo, sono i teli di plastica, originariamente utilizzati in campagna per coprire le balle di fieno esposte al sole. Noi viviamo le contraddizioni dell'oggi, viviamo e ci piace portare queste contraddizioni. Non c'è aspirazione alla purezza, non è un "ritorno alla natura" in senso purista ma al contrario utilizziamo anche gli strumenti più moderni, consapevoli di quello che sono: in fondo utilizziamo l'automobile...Si tratta di trovare una misura; personalmente è vero che l'uomo e meraviglioso e terribile per tutto quello che inventa e che costruisce, ma dietro c'è qualcosa di molto divino. Dietro l'uomo c'è questo desiderio di ricerca e ricreazione e interessa molto interrogarmi su questi problemi. Io non so clonare e non clono ma interessa, la vita è fatta di contraddizioni, ed è proprio da li che hanno origine tutte le nostre riflessioni.
SA: Abbandonerai la campagna, come è già successo con il teatro?
R: No, io non posso più abbandonare, ma soprattutto non significa che gli altri debbano seguire la mia strada. Io vivo in campagna ma vado anche in città, seguo i piaceri della città, il cinema. Mi viene di pensare così e mi piace che sia così. Capita davvero spesso di fare questi pensieri e mi piace. Ho letto su un "coso" dei baci perugina una frase strana, che dice "l'ottimista crede di vivere nel migliore dei mondi possibili, il pessimista lo sa". Tante cose non vanno ma questo è il nostro risultato al meglio di ciò che possiamo dare, quindi tutti i difetti che ci sono, i nostri difetti, e noi con le nostre azioni diamo il contributo in una direzione. Io lavorando sempre nel piccolo mi sono convinto, per l'esperienza della nostra vita, che effettivamente è così. La tua azione non conta niente, così sembrerebbe, però in realtà nella tua vita conta. Tanto. Questo piccolo teatro nelle case ci fa stare davvero bene, a new york non lo sapranno mai ma va bene così, mica dobbiamo farlo sapere per forza a new york o in altri posti. Se viene una volta un newyorkese che si entusiasma ben venga….
SA: Che rapporti avete sviluppato con altre rassegne come OLTRE?
R:Antonio è stato molto molto molto carino con noi, ci ha seguito, lui è uno di quelli che segue tutte le repliche, una persona meravigliosa.
SA: La provocazione dei soldi strappati in scena potrebbe costarvi cara agli occhi di chi si ferma al puro fenomeno e non scava nel significato della vostra azione.
R:Questa azione è molto strana, e ci ho riflettuto parecchio. Ho pensato "ma quando io semino cosa faccio? prendo il grano e lo butto in terra, e potrebbe non nascere nulla. Ed io farei la fame." Io prendo 5 euro, li distruggo, perché per me la vita e fatta anche di questo, di rischio. Quella è proprio analoga alla semina. Faccio un gesto: tu me li dai, ed io li raccolgo. E' una scommessa, e questa sera (Volterra 25 luglio) è stata speciale, se accadesse così col grano (con 5 euro strappati ne son tornati 70) avrei 7 tonnellate di grano fresco.
SA: L'idea del cibo a teatro è venuta fuori con "teatro da mangiare"? Ho visto che avevate altre produzioni…
R:Hai ragione, negli altri spettacoli cibo e teatro erano due elementi separati. Noi lavoriamo nelle "ariette" e facevamo da mangiare, pero quando invitavamo a casa nostra la gente solo dopo lo spettacolo si procedeva con la consumazione dei cibi. Non erano intrecciati, forse in alcuni momenti il cibo era addirittura un elemento antagonista.
SA: C'è un momento in cui Paola fa percepire allo spettatore che sta palesemente "recitando qualcosa" a differenza di tutto il resto dello spettacolo in cui siete voi stessi..
R: Abbiamo sempre pensato ad intrecciare dei racconti degli altri a racconti nostri pensando che fossero in fondo la stessa cosa. E' importante che ci sia confusione tra questi elementi; in questo lavoro che è autobiografico (teatro da mangiare) entrano molti elementi "autobiografici" nel senso che ci piacciono, barzellette di Maurizio, canzoni cantate da Silvia ma di Tom Waits…qualcosa insomma che senti caro, come io credo che noi apparteniamo al mondo. Noi per esempio utilizziamo l'autobiografia nella speranza che non sia tanto la nostra storia ad essere interessante ma che ognuno pensi alla propria, e quindi mescolarle, farle diventare le storie che ti attraversano, esperienze di vita.
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