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Theatre News - Performances | by Antonio Leto in Theatre News - Performances on 03/03/2009- Comments (0)
 
Lor Ga Na Crur
Spettacolo teatrale di A.Artaud presentato da Ginnungagapteatro, regia Letizia Corsini, attore Paolo Spaziani. Lor Ga Na Crur è un testo (semi-celebre) di Artaud situabile verso la metà del 1947, un poemetto relittuale dell’Artaud più solitario, del cosiddetto periodo “materialista” evidentemente uno dei suoi esiti più violenti, strenuo ed estremo regolamento dei conti con la metafisica occidentale, con ogni forma di concettualizzazione-Spaltung, contro forze fantasmatiche sovra-determinanti che minacciano ad ogni istante di interrompere il grande flusso, il piano d’immanenza che la sua scrittura, la sua vita, non cessano di tracciare, fuoriuscendo da ogni margine.
 
 
Non si tratta ormai neppure più di contestare una certa assiologia soffocante, Artaud non perde più tempo a spiegarsi, a enucleare dei distinguo, agisce in assenza di tempo (mancano pochi mesi alla sua morte) e aggredisce direttamente uno degli elementi chiave di ciò che aborre (non era stato il gemello Nietzsche a mettere in connessione la prigionia, la morte con la nostra credenza nella grammatica?): Artaud aggredisce con una violenza inaudita lo statuto stesso della lingua come res di scambio universale, di spaccio di universali, come oggetto di comunicazione, gli è indifferente anche la pietosa menzogna della ‘poesia’, non si tratta più di una lingua ma di una contro-lingua che recupera a se stessa ciò che le era stato catturato nei circuiti di svolta del simbolico, l’emozione pura, il soprassalto del corpo. Glossolalìe, paragrammatismi, controsensi, inversioni sintattiche, sintagmi filosofici sminuzzati a colpi d’ascia, uno jargon dell’urlo, una lingua per cui non ci sono analisi decrittanti possibili perché può essere solo canto immemore senza melodia (capita però che vi si depositi, vi transiti un passato immane, geografico, come la sedimentazione senza strati di tutti i sibìr del Mediterraneo, nell’inflessione amniotica di tutto il femminile di Artaud, la pleiade delle madri sparpagliate nei vari cimiteri visitati amorosamente da Paule Thévenin alla ricerca di questa paradossale genealogia - Smirne, Marsiglia, Napoli, Genova - come se la linea debordante di Artaud fosse proprio di essere il vessillifero estremo, rabbioso, sarcastico di un Molteplice disparso).
Lontanissimo dagli intendimenti del Teatro e il suo Doppio, non si tratta più di rimmergersi nel tutto, di trovare un assorbimento nell’assoluto dopo aver decantato la materia vile con tecniche mutuate dal teatro orientale, in una dialettica tra spirito risorgente e un corpo, puramente semantico, da scandire secondo i lessemi ermetici, completo capovolgimento, sarà proprio questo corpo, sempre sempiterno e non eterno, questo corpo particolare che si ri-forma ad ogni istante che Artaud cercherà disperatamente di difendere dagli stupri tassonomici, un corpo che finalmente ha trovato un divenire che non conosce arresti se non quelli, funerei, del cattivo doppio, del calco simulacrale impostogli dal feticismo nominante, utilitario-spiritualista, degli apparati di cattura. Giustamente Umberto Artioli stabiliva un illuminante parallelismo con Wilhelm Reich e la sua diagnosi sconsolante del corpo corazzato, che, ignaro della forza orgonica, la vede sempre fuori di sé come mancanza abbietta nel dritto
ovescio del soprannaturale su cui fondare ideologie aberranti oppure in uno sconsolato erotismo meccanicistico e predatorio, carico della rabbia, la peste emozionale, di non riuscire mai a colmare la beanza-clivage di che consiste il cosiddetto “soggetto”.
Il Messico è già lontano eppure lì è il punto di svolta, il più paradossale e il meno storico-causale che sia possibile, i glifi-miraggi delle montagne Tarahumaras si sveleranno poi come intuizione di un crocicchio d’echi, come possibilità infinita e caotica della ripetizione,
Artaud riverifica in peyotl un presagio del casto Kierkegaard, la ripetizione sì, la ripetizione variata e sminuzzata ma ininterrotta come un anatema sonoro contro ogni arresto in questa cartografia mutante, sempiternamente mutata: rappresentazione, nozione, immagine, pensiero, essere.
I canti che ascolta nella notte sono questa manovra, sapientissima, di divincolamento, de-fissaggio, la voce è voce è voce soltanto, non richiama a sé spazi e forme, solo le inventa.
Più tardi (?!) se ne “ricorderà” e saranno proprio gli ultimi lembi blue-inebrianti, in schegge scismatiche che si emancipano alla fine di questo “testo” (già idiofonico e con vocazione da sorgente autonoma, scroscio da percuotere, sovranamente dimentichi) a s-terminarlo, con enjambements come piani lamellari friabili che crollano l’uno sull’altro, come un urlo lontano che riavvolge di buio quel “tout” che Antonin-Lucifer non smette di turlupinare a scansione sghemba-precisa (presago del proscenio), precipita a mera polvere metamorfica, prima dell’ultima copula tronca di soggetti (quasi una chiave falsa e residuale), periclitante ancora di denotazione, incerta, (sono eventuali).

Projet " Lor ga na crur"

texte: antonin artaud
féticheur(comme-un-dieu-ne..). : paolo spaziani
trajecTuese du jeu: letizia corsini




Un testo di Artaud contro la noto(no)mia, contro ogni modo eo pretesa di dare nome e inizio al vivente. Di (s)partirlo dal caos come cosa. Frammenti morti di caos che giacciono inerti nella mente-macchina antropomorfa. Mentre ciò che vive non è dimostrabile, per assioma: occorrerebbero luogo e formula, diceva Rimbaud, ma in ben altro senso, incantatorio e magico. Eppure per mettere in opera questo, avere il coraggio della parodia di un battesimo, come per varare una nave (Swinging The Maelstrøm, un altro 'savio' delirio, M. Lowry) su un vuoto puro, essere inghiottiti e re-esplosi come materia anomica e pulsante. Inventarlo, questo testo, con il coraggio da un nuovo gene sguaiato e intrattabile, che fuoriesca, fili via dalle secche dalla trista storia-del-teatro che comunque esiste come forza gravitazionale trascendente, come cima o paranco da cui sbarazzarsi, non più necessari. Disancorarsi, debordare, disalberarsi. Navigare questa leggerezza di un nuovo nome che non abbitta, non abita, non delibera, non identifica ma scioglie e libera, cronograficamente già out of joint, come nel tempo che precede ogni nascita, che non ha più bisogno neppure di precederla, libertà inconsequenziale, dunque, stavamo parlando più o meno di questo, no?

Il nuovo 'nome' sia allora Lor/Ga Na/Crur, un'articolazione sciamanica inflettuta in un balletto canzonatorio di bisillabi, abbastanza vorticoso da scagliar via da sè spazi e tempi già dati, non ingombrati neppur più dal folklore degli ultimi giorni tranquilli di Ivry, nessuna pesanteur cronologica. Non c'è davvero spazio per gli umani in Artaud. Non ci sarà neppure l'oltraggio cretino di una sorta di celebrazione.

Lunedì 16 Marzo

ore 21.00 - Ingresso libero
 
 
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INFOS
PERIOD: from 16/03/2009 to 16/03/2009
CITY: Oreno di Vimercate
NATION: Italy
VENUE: TeatrOreno
ADDRESS: Via Madonna 14
TELEPHONE: tel.340-8553422
FAX:
EMAIL: ginnungagap@alice.it, info@teatroreno.it
WEB: http://www.teatroreno.it/LORGANACRUR.htm
INSERTED BY: Antonio Leto
 
Paolo Spaziani
 
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