Zoologia Parallela. Nel lavoro di Serena Piccinini ricorre il tema dell’animale che viene assunto come innesco figurale: l’artista, cioè, parte da una fisionomia ben riconoscibile per spingerla fino al limite del riconoscimento. E questo lo fa non solo operando sul disegno di quella stessa fisionomia, ma ancor più essenzialmente con la materia utilizzata per dare un corpo a quella fisionomia. Nella produzione di Serena Piccinini è dunque possibile incontrare balene, giraffe, coleotteri, cervi, o meglio qualcosa che solo appare di volta in volta, balena, giraffa, coleottero, cervo. A ben guardare la balena è già in trasformazione per diventare un uccello, mentre la giraffa, per metà, assomiglia alla penna di una scavatrice o il cervo, in fondo, è come un bassotto, l’elefante ricorda una pagoda... Das Unheimliche? A ben guardare, le ibridazioni zoologiche di Serena Piccinini pur potendo ricorrere al perturbante, a quanto, cioè, ci inquieta nel sovrapporsi delle immagini e nel confondersi di animato e inanimato, in nulla davvero spaventano. La ragione non è solo nel gioco ironico e propriamente infantile (non è all’infanzia che facciamo risalire le più remote esperienze del perturbante?) dell’esperimento combinatorio che l’artista enuncia già in titoli quali Cervocielo Dorato o Grillo tintinnate o ancora Girafpillar. È anche e soprattutto nei materiali utilizzati: carte colorate e decorazioni da bricoleur che rendono familiari quelle creazioni fantastiche che in altro modo non potrebbero esserlo. Serena Piccinini, paradossalmente, addomestica quanto non è addomesticabile, l’ Un-heim-liche, appunto. La misura del mondo. “È il mio intento di creare nuovi modi di vedere i paesaggi famigliari e di far sì che la natura ci venga restituita in modo diverso, perché non esiste rapporto con nessun mondo, a distanza” dice l’artista. E Propone, perciò, un percorso all’inverso, un percorso che parte dal gioco combinatorio e dall’ibrido in forma e in materia per giungere fino al confine che, come si diceva, supponiamo certo e fermo tra sé e le cose. La mostra proposta è, in questa prospettiva, un invito all’incertezza affinché attraverso lo scarto metamorfico sia ridisegnata una distanza che è, appunto, misura del mondo. Misura della propria identità che l’arte, come suo proprio compito, deve mettere in dubbio, perché possa trasformarsi. Domenico Maria Papa, marzo 2013 |