Galleria 291 Est è lieta di presentare una mostra in cui entrare in contatto con la tradizione, la cultura popolare, la storia, le superstizione e la fede. Serena Scionti racconta attraverso questa mostra fotografica la storia degli “Spinati”. Con approccio antropologico si immerge nel mondo di questi penitenti fedeli, per assaporarne il pathos della processione verso la chiesa contenente l’effige di San Rocco di Montellier protettore dei pellegrini e degli appestati.
L’antico rito degli Spinati che, precede la processione in onore di San Rocco, come voto penitenziale, rivive ogni anno nelle strade di Palmi. La città è meta di migliaia di pellegrini provenienti da ogni angolo della Piana di Gioia Tauro e non solo. La gran parte giunge per seguire la grandiosa processione dietro alla statua di San Rocco; qualche centinaio di essi, invece, viene dal grande Santo per rispettare un voto o per implorare una grazia. Gli Spinati, sono donne e uomini, ragazzi, giovani, anziani, che seguono la processione con una corona o un mantello di arbusti spinosi che cingono il capo o il corpo intero e a piedi nudi seguono la statua del Santo, portata da ventiquattro giovani, i quali, si tramandano il privilegio per eredità. Con il passare delle ore, le spine lacerano la pelle e il sangue scende a rivoli. Le spine per chiedere una grazia, o come ringraziamento per una ricevuta, in una sorta di ancora vivo autodafé. (Il nome deriva dal portoghese auto-de-fè cioè atto di fede, e fu il cerimoniale giuridico più impressionante messo a punto dall’ Inquisizione). Una manifestazione di autentica fede religiosa che affonda le sue radici in antichissimi riti popolari in cui si mescolano misticismo e paganesimo. Sono espressioni, con le loro profonde differenze, di una identica concezione del voto penitenziale che viene tramandata da remote manifestazioni fideistiche popolari, dalle molte implicazioni psicologiche e antropologiche.
La specificità di tale rito trova la sua essenziale genesi e la sua funzione, in un’associazione allo stato emotivo. Questi penitenti, con una buona dose di compiacimento, che va al di là della consapevolezza, sentono di essere i portatori d’inesplicabili sensi di colpa, da cui muove l’esigenza di dare una risposta di tipo punitivo verso se stessi e, allo stesso tempo, invocativo di perdono verso la comunità di appartenenza. Vi è anche l’inconscia convinzione di essere gli obbligati portatori dei peccati della comunità stessa: il corpo, avvinghiato dalle spine, è esibito come un grande e generoso sacrificio, cui è attribuito un pubblico significato espiatorio. Il conseguente ricercato rifugio nella dimensione sofferenziale diventa, in questo contesto emotivo, il tentativo di attivare una lenta e liberante espiazione, nel ricordo costante dell’occasione in cui ci si è sentiti colpevoli. Ad ogni modo, il rito degli Spinati, assume una dimensione di natura strettamente personale. La gabbia di spine incatenate detta Spalas che, dal capo alla vita avvolge il penitente, è da intendersi come un’implicita accettazione della colpa, che spiega l’autopunizione e la consequenziale ricerca di una riconciliazione con se stessi. L’autopunizione serve anche nei confronti della collettività, nei confronti della quale ci si offre come una sorta di vittima espiatrice, grazie ad una cerimonia che possa rendere visibile a tutti, la mortificazione di un corpo. Il pubblico non sembra limitarsi solo a guardare, da spettatore passivo, in esso si coglie, una certa empatica e appagante partecipazione. Il popolo è portato a consolidare un potere di vera e propria legittimazione e rafforzamento dell’ordine costituito, un vitale e legittimo rinnovamento. Si produce una circolare solidarietà compensativa, favorevolmente accettata, perché il rituale consente di risolvere tensioni e conflitti latenti, per una più efficace integrazione sociale. La gratificazione del popolo sfocia, a volte, in sentimenti di rimorso nel vedere che siano gli altri a portare il peso delle colpe, oppure in pensieri sadici, che producono un senso di appagamento nel vedere che tocca a questi Spinati e non a loro, espiare e soffrire per tutti. Mentre la processione, in onore di San Rocco, procede, il rito degli Spinati termina nel momento in cui questi si spogliano dalle spine (dopo circa 4 ore di processione a piedi nudi), accatastando queste loro armature in una piccola piazza antistante la chiesa dell’omonimo Santo, prima di procedere ad un grande rogo, che funge da funzione catartica nella fase conclusiva del rituale.
Nella giornata di San Rocco è consuetudine offrire, per la intercessione del Santo, avvocato presso Dio, gli ex voto in cera, che numerosissimi sono depositati ai piedi del taumaturgo. La congrega conserva l’aureola, il reliquario d’oro di San Rocco e gli oggetti in argento cari al santo pellegrino: la fiaschetta, la conchiglia raccolta a Finestrelle, al ricordo del cammino di Santiago de Compostela, la zucca, il cappello e il fedele cane. Nelle strade si suona e si balla in onore del Santo, mentre le bancarelle vendono gli ‘nzuddu, dolci preparati con latte e miele, dalla forma umana o animale. Il culto dei palmesi verso il Santo, protettore nelle pestilenze, risale ai secoli scorsi: scritti inoppugnabili documentano la loro devozione.
Serena Scionti
Fotografa dal 2004, Serena Scionti viene affascinata dai movimenti dell’animo umano, attratta dal particolare, dal dettaglio rivelatore. Il suo occhio si lascia guidare dal soggetto per rubarne la storie congelandola in attimi infiniti. Calabrese di nascita, molti dei suoi lavori si “ambientano” nella sua terra. Sensibilmente attenta al fattore antropologico, spesso nei suoi servizi le ambientazioni sono molto presenti, necessarie, indaga attraverso i tratti somatici dei soggetti per estrarne la storia nascosta. Volontariamente teatrali le sue immagini si spostano agilmente dalla finzione al documentario, mostrando un’artista versatile capace di far sentire il suo sguardo onesto e vivace.
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