Osservare un opera d’arte è una complessa interazione di sensi, fisici e no. Al di là di considerazioni tecniche e squisitamente superflue che secoli di critica e migliaia di vite umane hanno consumato nell’analisi millimetrica di tele e marmi, l’epifania di ogni manifestazione artistica si risolve lì, tra l’immagine diretta e gli occhi dello spettatore. Indiscutibile la capacità di ogni singolo di trovare in ogni produzione creativa il proprio “coniglietto rosa”, vale a dire quei punti di vista relativi all’immagine capaci di produrre visioni personali che molto spesso l’artista non aveva non solo ideato nell’opera ma neanche lontanamente immaginato. Presumo che questa sia la vera magia dell’arte, che rimanda all’affermazione prima di quest’articolo: l’interazione dei sensi. Quando rimaniamo lì, fermi a scrutare un’immagine , questa diventa il prisma attraverso il quale la nostra anima si scompone e mostra la varietà di tonalità che la compongono, decisamente molte di più di quelle della luce, dolori, angosce, speranze e intime meraviglie si mostrano e ci riflettono attraverso le linee di un pennello, di una tempera densa, di un colore compulsivamente riproposto. Le opere di Annabella Cuomo si prestano ben volentieri a questo compito. In un’epoca dove l’arte contemporanea diventa sempre più provocazione e nella folle ricerca della scossa emotiva dimentica la necessità estetica , e diventa, lasciatemelo dire sempre più meta-arte, è rassicurante scorgere un piccolo ritorno all’arte delle origini, usando pochi paroloni: quella bella. Nonostante la sua giovane età si intravedono già due momenti nelle opere fino ad ora create. Questo ci suggerisce una maturazione artistica consapevole, alimentata senz’altro da una profonda ricerca e una crescente cognizione estetica. Nel primo periodo le tavole della Cuomo sono per lo più, affermative. Un gigantesco aforisma dipinto. Le forme narrano figure grottesche, tutte accomunate dalla forma genitale femminile che si staglia nell’immagine come un sillogismo. Donne; la vulva insistente in tutte le opere , ci mostra la vera identità delle figure, sono donne Nell’era della finta immagine, dove il disagio attuale è del tutto legato alla proposta di perfezioni inesistenti, che spingono ragazze e ragazzi a rinnegarsi, forzarsi, trasformarsi per assomigliare a stereotipi di bellezza nient’affatto naturali, ma per lo più siliconati e botulinizzati, Annabella scende nei meandri più intimi del sociale e ci mostra la “verità dei fatti”. Le immagini sono sconvolgenti. Colpiti dalla traslazione, si rimane pietrificati di fronte a quello che siamo con un grosso sorriso sardonico come didascalia dei nostri pensieri. Le forme diventano con questa chiave elementari, tradurle diventa semplicissimo. E’ impensabile la metafora illustrata a cui questi lavori danno vita. Questi dipinti, dai volti inespressivi, aridi di dettagli, sono un racconto critico dell’individuo moderno. Un elenco di polaroid a mano. Il velo Maya che si alza e scopre la mera verità dei fatti. Tutti gli stereotipi sociali del femminino moderno vengono raccontati per immagini semplici, il cui accostamento all’umano risulta una rivelazione agghiacciante. Nella galleria delle forme si troveranno madri diventate vacche gravide. La decostruzione del corpo femminile arriverà all’osso. I corpi verranno mutilati, decomposti, scarnificati, l’unico loro affrancamento resteranno i genitali. Inquietante domanda, che scompone le sue lettere tra un quadro all’altro. Siamo questo? Nel lavoro più asciutto ed essenziale della Cuomo la donna trascenda dalla sua antropomorfa forma e diventa denuncia, fuori dai valori provvisori del sociale apparente, non c’è più consistenza morale ne femminino. C’è solo una forma acaratteriale e vaga. L’astrattismo è coinciso, i colori si dissolvono e diventano superflui. Poche linee per definire un oggetto, crudo esistenzialismo che diventa disegno. Queste opere ermetiche trasudano significati, la denuncia misogina è una linea che affonda lo sguardo. I materiali rafforzano il lavoro di manifestazione della realtà Grafite su tamburato, una proposta inconsueta. Quella che era la materia per proporre degli studi, la matita del provvisorio ,diventa materia d’arte volutamente compiuta. Nel prisma precedentemente citato c’è del provvisorio, una gomma basterebbe per cambiare le carte in tavola. Un’ennesima valutazione esistenziale che urla i suoi significati oltre che dall’immagine in se, anche dalla materia che li compone, la fragilità dell’opera suggerisce l’irrisorietà del ruolo descritto, crudele e per di più facilmente distruttibile. Ma sarà questo un bene o un male? Nel secondo periodo l’estetica e il carattere delle opere muta. I dipinti acquisiscono spessore , progrediscono sia nell’immagine che nella trasmissione di emozione. I colori virano al seppia, si riscaldano e si confondono interagendo tra loro. I disegni diventano più disponibili, l’immagine statica delle prime tele si addolcisce e appaiono dei volti. Alle spalle dei soggetti rappresentati appare uno sfondo, che interagisce con l’esterno. Per la prima volta appare non solo una fisionomia, ma uno sguardo, che sembra intendersi con lo spettatore. Evidente appare il coinvolgimento dell’artista che trasmette dall’opera una nuova cognizione, la quale dall’idealismo osservatore con cui ha ideato le prime opere diventa racconto di esperienza e morale vissuta. I materiali diventano molteplici, i toni si sgelano e la fragilità della grafite lascia il posto a pennellate stabili e immutabili. La tecnica del collage è la scelta per i nuovi affondi. In una delle ultime opere la Cuomo riunisce attraverso il collage gli innumerevoli pezzi delle sue nuove certezze, la Cuomo propone diverse forme di identità che si riuniscono su di una stessa tela e suggeriscono all’osservatore una riflessione sulle diverse forme di coscienza che abitano e coesistono nel stesso corpo, sotto la stessa pelle. Le verità accumulate nelle sue nuove esperienze diventano molteplici forme di materiali che interagendo tra loro creano immagini ispirate, tentatrici e dicotomiche. IL sillogismo iniziale diventa proverbio. Nell’epoca in cui l’arte contemporanea è minacciata da falsi profeti che propongono una riluttante forma di creatività quali parametri bisogna usare per decidere se un’opera d’arte è tale o meno? Nell’immaginario collettivo la prima cosa che un’opera artistica deve essere è : ”bella”. I lavori della Cuomo sono talvolta grotteschi, altre volte istigatori, ma rimangono una corpo affascinante da guardare. Forse è questo che bisogna pretendere dall’arte contemporanea, ed è il confine tra arte e meta-arte, un opera deve conquistare l’attenzione dello spettatore. L e opere di Annabella Cuomo fanno questo. L’arte diventa racconto
Nota critica scritta da Marinella Ciancia con la collaborazione di Tanja Zorzut
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