Clio Barnard, regista cinematografica originaria della stessa regione della scrittrice Andrea Dunbar, a vent’anni dalla morte della scrittrice, deceduta prematuramente all’età di 29 anni per un’emorragia cerebrale, decide di riavvicinare l’esperienza della madre a quella, parimenti tragica, della primogenita (Lorraine diventerà tossicodipendente e verrà rinchiusa in carcere per aver accidentalmente causato la morte della figlia) in un potente e affascinante documentario che prende il titolo dell’opera prima della Dunbar: The Arbor.
“Se scrivessi un dramma, lo scriverei sul Buttershaw Estate. Mostrerei delle persone che portano avanti la loro vita con coraggio e determinazione, ma mostrerei anche altre persone che scendono da una grande e ripida collina fino a un grande buco nero”, così scriveva Andrea Dunbar e così sarebbe stato nei suoi pochi e intensi testi teatrali che raccontano in maniera diretta e brutale la vita nel quartiere popolare alla periferia di Bradford, Inghilterra. Ha appena 15 anni Andrea Dunbar quando mette giù il suo primo testo teatrale: The Arbor. Tre anni dopo, siamo nel 1980, l’opera sbarca a Londra dove viene accolta da Max Stafford-Clark che in quegli anni dirige il Royal Court Theatre. La messa in scena londinese ha un enorme successo e Andrea Dunbar diventa presto l’icona di un teatro che, attraverso le sue protagoniste teenager, racconta fedelmente i lati più oscuri di una periferia inglese. Alla stessa tenera età di 15 anni, Andrea partorisce la sua prima bambina, Lorraine, probabilmente la persona che soffrirà maggiormente del carattere della madre, della sua dipendenza dall’alcol e della sua noncuranza nei confronti della famiglia. Clio Barnard, regista cinematografica originaria della stessa regione della scrittrice, a vent’anni dalla morte della Dunbar, deceduta prematuramente all’età di 29 anni per un’emorragia cerebrale, decide di riavvicinare l’esperienza della madre a quella, parimenti tragica, della primogenita (Lorraine diventerà tossicodipendente e verrà rinchiusa in carcere per aver accidentalmente causato la morte della figlia) in un potente e affascinante documentario che prende il titolo dell’opera prima della Dunbar: The Arbor. Così come negli scritti della Dunbar, anche in questo film la periferia di Bradford è al centro della narrazione e i suoi abitanti diventano gli spettatori di brevi ricostruzioni sceniche all’aria aperta di quei testi teatrali (The Arbor e Rita, Sue and Bob too) che fanno da intermezzo al racconto delle vite delle due protagoniste. Per due anni Clio Barnard ha ascoltato i racconti di Lorraine e dei suoi fratelli, così come quelli del resto della famiglia di Andrea Dunbar e li ha custoditi in registrazioni audio che ha fatto successivamente interpretare in playback ad attori professionisti. Il risultato, nonostante l’enorme lavoro tecnico necessario, è un documentario quanto più fedele possibile alla realtà dei fatti e ai sentimenti delle persone che conobbero la Dunbar e che condivisero la sua breve e tumultuosa vita. Ma è un documentario che racconta moltissimo anche del Buttershaw Council Estate di oggi, attraverso l’esperienza di Lorraine e le sue disavventure ai margini della società inglese. È come se si trattasse di un mondo parallelo a quello raccontato dalle televisioni o a quello che tutti immaginano debba essere “il mondo inglese”, un mondo fatto di povertà, violenza e dipendenza, e probabilmente allo stesso modo veniva percepito quando, negli anni ’80, i drammi della Dunbar spopolavano nei teatri di Londra, lontano dai grandi buchi neri del Buttershaw Council Estate.
Regia Clio Barnard
Produzione Tracy O’Riordan, Executive Producer - Michael Morris - An Artangel /UK Film Council Production
Riconoscimenti Tribeca Film Festival, Best New Documentary Filmmaker – Clio Barnard / London Film Festival, Best New Filmmaker – Clio Barnard / London Film Festival, Most Original Film / Sheffield Int’l Documentary Festival – Innovation Award / British Independent Film Awards – Best British Debut
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