Autore dei romanzi Savana padana (Zona, 2009) e Bacchiglione blues (Perdisa Pop, 2011), Matteo Righetto ha recentemente pubblicato La pelle dell’orso (Guanda, 2013), in cui si è allontanato dalla pulp story, che ha caratterizzato buona parte della sua produzione letteraria, per recuperare la dimensione della favola.
Ne La pelle dell’orso Domenico, un dodicenne orfano di madre che ha sempre vissuto nel villaggio di Posalz ai piedi delle Dolomiti, compie il proprio percorso di formazione a contatto con la natura, sognando per sé le avventure eccezionali del suo mito, Tom Sawyer.
Narratore fortemente legato alla provincia rurale del nord-est d’Italia, Righetto ha fondato il movimento letterario Sugarpulp che affonda le sue radici tanto nel romanzo popolare di Emilio Salgari quanto nella “new wave a stelle e strisce”, rappresentata da autori di grande successo come Cormack McCarthy, Joe Lansdale, Victor Gischler, Elmore Leonard.
Con il progetto didattico Scuola Twain, inoltre, Righetto si fa promotore della creazione “di una nuova generazione di lettori e narratori”, facendo tesoro delle esperienze di Gianni Rodari, Marco Lodoli, Dave Eggers e Nick Hornby.
SA: Ciao Matteo! Benvenuto su SuccoAcido. Docente di Lettere, direttore di Scuola Twain, fondatore dell’associazione culturale Sugarpulp, opinionista culturale e scrittore… Qual è il ruolo che attribuisci alla Letteratura nella società contemporanea?
MR: Finché esisterà un solo uomo sulla Terra, la Letteratura avrà un senso. La società contemporanea, come tutte le società passate e future ha un assoluto bisogno di Letteratura perché essa ci pone di fronte al mondo, ma ci pone nel mondo in maniera conflittuale e quindi intelligente. Essa ci provoca intellettualmente, ci fa pensare e perché no, anche divertire!
SA: Secondo il tuo punto di vista, è possibile oggi un nuovo Umanesimo? Come?
MR: Un nuovo Umanesimo è certamente possibile. Oggi viviamo un’epoca in cui è stato estremizzato il valore e il concetto di relazione umana: o ci si isola davanti a un tablet con la fallace illusione di interagire col mondo, oppure al contrario, si partecipa a manifestazioni di piazza mescolandosi tra folle oceaniche. In entrambi i casi cessiamo di esistere e deleghiamo il nostro io ad una realtà altra, cessiamo di esistere individualmente senza neppure accorgercene, anzi, con la convinzione del contrario. Un nuovo Umanesimo sta nella riscoperta del rapporto personale “uno a uno”, nella capacità del DIalogo, del guardarsi negli occhi e condividere le emozioni e le esperienze umane. Quante volte ci capita di parlare con qualcuno mentre questo nel frattempo chatta o messaggia o che cazzo di altre cose fa? Credo che una vera rivoluzione umanistica sia possibile solo se la si inizia a fare anzitutto con chi ci sta più vicino, e poi via via con tutti quelli che incontriamo ogni giorno. Il nuovo Umanesimo deve essere una presenza vera e autentica della nostra persona di fronte agli altri, all’altro. Cosa possiamo fare? Farlo!
SA: Per il tuo ultimo libro, La pelle dell’orso (Guanda, 2013), ti sei allontanato dalla pulp story, che ha caratterizzato buona parte della tua produzione letteraria, per recuperare la dimensione della favola. Ci spiegheresti le motivazioni di questa scelta?
MR: Io sono uno storyteller puro, un narratore, un raccontastorie. Non riuscirei mai a autoetichettarmi o a costringermi ad uno specifico filone o genere letterario. Così come non ho alcuna intenzione di raccontare storie a episodi, con personaggi seriali o cose del genere. Io racconto storie diverse, con toni diversi, voci diverse. E ogni storia è “quella” storia. Quella dopo, chissà...
SA: Quanto ha influito la tua esperienza di autore teatrale nell’ideazione e nella stesura de La pelle dell’orso?
MR: Non molto, a dir la verità. La pelle dell’orso è un romanzo puro, con una scrittura e una intensità letteraria assai diversa dalla scrittura drammaturgica e anche per questo la vicenda è raccontata in terza persona.
SA: Da Savana padana (Zona, 2009) a Bacchiglione blues (Perdisa Pop, 2011), fino al tuo ultimo romanzo, la tua scrittura si rivela fortemente legata ad un preciso territorio: la provincia rurale del nord-est d’Italia. Ma essa si carica anche di significati metaforici e metafisici. Ci parleresti del rapporto tra spazio e storia nelle tue opere?
MR: Il territorio, l’ambiente e il paesaggio, sono una questione stilistica per me irrinunciabile e fondamentale. In tutti i miei romanzi essi rivestono addirittura un ruolo da personaggio principale, come accade nel genere western. Non ho mai amato le storie ambientate tra la camera da letto e la cucina, per intenderci. Soltanto calando i personaggi nel loro habitat naturale riesco a raccontare ciò che essi fanno, come lo fanno, perché lo fanno.
SA: Dal legame con il territorio deriva, naturalmente, l’attenzione per le varietà linguistiche. Nel tuo ultimo lavoro hai innestato, in una lingua semplice e diretta, dal registro medio, parole ed espressioni dialettali dell’area ladino-bellunese. Credi che sia ancora praticabile la letteratura dialettale? Scriveresti mai un romanzo interamente in dialetto?
MR: Non scriverei mai un romanzo interamente dialettale per tre motivi: non ne sarei capace, non mi affascinerebbe, non sarebbe letteratura italiana.
SA: Ne La pelle dell’orso racconti il percorso di formazione di Domenico, un dodicenne orfano di madre che ha sempre vissuto nel villaggio di Posalz, una piccola frazione di Colle Santa Lucia, ai piedi delle Dolomiti. Ammiratore di Tom Sawyer, il protagonista vive a contatto con la natura sognando avventure eccezionali. Nella costruzione del personaggio di Domenico c’è anche qualcosa della tua adolescenza?
MR: Direi che in Domenico c’è qualcosa dell’adolescente che ognuno di noi avrebbe in parte voluto essere. Egli rappresenta la tenerezza e la sensibilità, ma anche il coraggio, il desiderio di avventura e la fede cieca in suo padre, visto come uomo duro, ma anche capace di avere un cuore buono.
SA: «Nonostante la vista fiacca gli traballasse tra le lacrime, vide l’orso. Sì, lo vide. La ragione di tutto. Il male di tutto. Tutto. Lo scrutò meglio. E per la prima volta a guardarlo bene non gli sembrò poi così tanto grande. […] Già. Se lo ricordava parecchio più grande, quel maledetto Diàol». Dunque il Diàol, l’Orso, l’Orco è essenzialmente una nostra “creatura”, una nostra proiezione?
MR: Questa è una bellissima osservazione. Già, l’Orso è anche una nostra proiezione. Dici bene: una sorta di orco. Un orco che ci insegue e che a nostra volta inseguiamo tutti i giorni. In questo senso è anche un capro espiatorio...
SA: Da insegnante di Italiano, proporresti la lettura de La pelle dell’orso nelle scuole? Agli allievi di quale fascia d’età? E con quali obiettivi?
MR: Assolutamente sì. Non suggerirei la lettura di altri miei romanzi, ma di questo sì. È un romanzo rivolto a tutti, dai 12 ai 112 anni.
SA: Hai ideato e realizzato Scuola Twain, un progetto didattico gratuito, ispirato alle esperienze di Gianni Rodari, Marco Lodoli, Dave Eggers e Nick Hornby e “dedicato alla creazione di storie e di una nuova generazione di lettori e narratori”. Come sta andando sul territorio nazionale? Come rispondono docenti e studenti?
MR: Scuola Twain sta andando benissimo, soprattutto grazie allo straordinario lavoro dei coordinatori regionali e all’opera di volontariato culturale dei “Docenti Twain”, i quali stanno operando in maniera eccellente su tutto il territorio nazionale.
SA: Come è nata in te l’esigenza di progettare e proporre Scuola Twain?
MR: Scuola Twain è un progetto gratuito di promozione della lettura e della scrittura creativa nelle scuole. Nasce sostanzialmente dalle mie esperienze di autore da una parte e di docente di lettere dall’altro, con l’obiettivo primario di riavvicinare due mondi, la scuola e la letteratura, che da troppi anni si sono allontanati l’uno dall’altro fino a perdersi di vista.
SA: Sei il direttore artistico di Sugarpulp, festival letterario internazionale. Cosa lo contraddistingue? Quali sono le sue peculiarità?
MR: Lo Sugarpulp Festival è un evento molto diverso da tutti gli altri. È una festa letteraria ma anche di cultura pop in senso lato, quindi molto più informale di molti “salotti” letterari. È easy, cool e soprattutto rivolto a chiunque!
SA: Cosa ci riserva la prossima edizione?
MR: Stiamo lavorando proprio in questi giorni per poter offrire al pubblico una bella edizione. Per il momento però non posso dire nulla.
SA: Tra le tue letture più recenti, qual è stata la più significativa per te e perché?
MR: Per la narrativa Canada di Richard Ford, per la saggistica La cultura si mangia! di Arpaia e Greco. Il romanzo di Ford è qualcosa di letterariamente straordinario. Arpaia e Greco dimostrano invece che, contrariamente a quello che si pensa e si dice di solito, la cultura può essere un volano economico pazzesco.
SA: La tua playlist musicale e cinematografica?
MR: Ah! Domanda troppo difficile... Vuoi costringermi a scrivere trenta pagine di risposta? Sono un grande appassionato di musica e di cinema, perciò non so cosa risponderti. Dico che in questi giorni sono intrippatissimo con i Guano Padano per la musica e con Suzuki Matsuo per il cinema.
SA: E se da una delle tue opere fosse tratto un film?
MR: Con tutta probabilità uno dei miei romanzi diventerà anche un film. Ma al momento non posso dirti di più.
SA: Progetti futuri?
MR: Romanzi e racconti per Guanda, lo sviluppo di Scuola Twain e diverse altre cose...
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