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Le rughe sulla frontiera. Lampedusa: restiamo umani! |
La mostra “Le rughe sulla frontiera - Lampedusa: restiamo umani!”, partita da Lampedusa nel settembre 2011, all’interno del Lampedusa in Festival, è stata allestita anche a Palermo, Cagliari, Bolzano, Roma, Castelbuono, Viterbo, Mantova... Tutte le tavole e i contenuti sono stati raccolti in un libro omonimo uscito per Navarra Editore. |
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Una fronte e una frontiera hanno qualcosa in comune? “Front”, tanto per cominciare, quella radice che si porta appresso, giù in basso, una fluttuante idea di verticalità che fa a cazzotti con la dimensione orizzontale della frontiera.
La frontiera, come la fronte, non è una linea che permette di stare o al di qua o al di là. Quelle linee sono le rughe che scavano la fronte, o i muri e le recinzioni che si innalzano sulla terra, violandola, come una corona di spine poggiata sulla frontiera.
Alle volte le frontiere non si attraversano, si vivono, magari tutta la vita, come accade a molti lampedusani, sperando magari un giorno di vederle crollare sotto il peso della storia, come fu per il muro di Berlino. Lampedusa è una di queste frontiere, attraversata da rughe che ci informano del tanto tempo passato a ritrovarsi nel mezzo del Mediterraneo.
Lampedusa sta invecchiando (quanto e forse più del resto d’Italia) sentendo parlare di emergenze che non si risolvono mai e che in parte non sono neanche risolvibili, perché non sono delle emergenze né tantomeno dei problemi. Per certi versi le migrazioni fanno parte della natura, sennò perché dovrebbero dare spazio alle tartarughe che nidificano su quell’isola? Per altri versi fanno parte della storia, delle sue guerre e carestie. Si legano sì alle contingenze, ma non le si possono interpretare come una “massa di gente che viene a fotterci il lavoro”.
Eppure guardandosi attorno, sembra che l’atteggiamento dominante sia questo, quando non si scade nel razzismo e nella xenofobia.
A Lampedusa -da sempre abbandonata a sé stessa dallo Stato, strumentalizzata da partiti e organi di informazione, saccheggiata da amministratori avidi e non da orde di immigrati come vorrebbero farci intendere- ci sarebbero una marea di cose da fare, e lì tutti gli iceberg del nostro benessere esplodono con le loro contraddizioni.
Di queste contraddizioni, imbracciando matite e pennelli come fossero dei remi, ci raccontano Gianni Allegra, Altan, Flaviano Armentaro, Mauro Biani, Lelio Bonaccorso, Franco Donarelli, Ellekappa, Bicio Fabbri, Elena Ferrara, Luca Ferrara, Giorgio Franzaroli, Frago, Simon Frosini,Giuliano, Kanjano, Giuseppe Lo Bocchiaro, Giulio Laurenzi, Makkox, Riccardo Mannelli, Mario Natangelo, Marco Pinna, Rasori + Sommacal, Filippo Ricca, Guido Scarabottolo, Giacomo Schinco e Luciana Manco, Sergio Staino, Marco Tonus, Manlio Truscia,Vauro e Vincino.“Le rughe sulla frontiera” è solo uno dei tanti tasselli del “Lampedusa in Festival”, organizzato dai ragazzi dell’associazione Askavusa,insieme a Legambiente Lampedusa, Recosol, Arci, Asgi.
A loro va tutta la mia stima. Loro non fanno “dietro-front”.
Come non l’ha fatta Vittorio Arrigoni, alla cui memoria è dedicata questa mostra.
Testo di Gianpiero Caldarella
Vittorio amava il grande Mare, quel Mediterraneo che, come scriveva, “separandoci ci unisce”.
Uomo dal cuore universale, sosteneva: “io non credo nelle bandiere, nelle barriere, credo che in tutte le latitudini e le longitudini apparteniamo tutti alla medesima famiglia che è la famiglia umana”.
Questo suo sentire così profondamente il senso della fratellanza, lo ha portato a scegliere una strada impervia, a varcare la frontiera dell’indifferenza e dell’ignavia, e a partire.
Maltrattato e respinto da Israele, l’uomo libero che era in lui non tollerava la privazione della sua libertà di poter tornare in Palestina.
Divenne migrante per scelta e scelse il mare per il suo ritorno.
Nel nostro discorrere, nel fluire dei suoi racconti, traspariva tutta l’indignazione per l’isolamento del popolo della Striscia di Gaza, per l’ingiusto assedio, per la privazione dei più elementari diritti umani e Vittorio si fece carico di questo fardello.
È vero, Vittorio non ha mai fatto “dietro-front”, ma ha continuato in quella sua direzione “ostinata e contraria” a testimoniare l’Umanità, a dimostrare che la vera solidarietà non è salottiera, ma è fatta di scelte coraggiose, difficili, ma che pur riescono facili se è dal profondo dell’anima che si nutre l’impellente bisogno di giustizia per i più deboli, per i perseguitati, per coloro che il mondo volutamente ignora.
Se Vittorio non ha mai esitato di fronte all’ingiustizia a porsi come scudo, a dividere pane e pericoli con i pescatori e i contadini, con i paramedici, è perché sentiva fortissimo questo bisogno e mai l’avrebbe tradito o ignorato, pur avendo anche messo in conto di poter dare la vita: “Mamma, molte vite sono spendibili, la mia forse più delle altre”.
Vittorio uomo libero, senza dogmi, senza compromessi, senza padrini né padroni, sempre con la schiena dritta a testimoniare con le sue azioni e la sua straordinaria capacità di comunicatore che ogni uomo, in qualunque parte del mondo, ha diritto ad una vita che tale veramente sia.
Così io penso mio figlio.
Pur nell’asprezza del dolore, nella desolazione per la sua mancanza, sono contenta per come ha vissuto, ho davanti i suoi occhi sorridenti di chi è felice e ha l’anima in pace e mi ripeto spesso, come un monito, le sue parole: “Palestina è anche fuori dell’uscio di casa”.
Restiamo Umani
Egidia Beretta Arrigoni
Settembre 2011
Testo di Egidia Beretta Arrigoni, madre di
Vittorio, pubblicato sull’albo illustrato
“Le rughe sulla frontiera”
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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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