Immagino di sapere cosa l’abbia spinto a scrivere questo libretto: una sorta di indignazione per come Scuola e Università sono trattate in Italia da una destra ignorante e da una non-destra supponente.
Così Arnaldo Cecchini, professore ordinario di Tecniche Urbanistiche all’Università di Alghero, ci introduce alla lettura del saggio Contro la meritocrazia (Edizioni La Meridiana, 2012), opera del suo alter ego Nicola da Neckir (anagramma del nome dell’autore), “professore ordinario del ssd L-LIN/174bis-ter e massimo studioso del pensiero del filosofo rumeno A. C. Boib”.
Come evidenziato anche nel sottotitolo del libello, Per un’Università delle capacità, dei talenti, delle differenze, delle relazioni, della cura (e dei meriti), l’autore non è contro i “meriti”, che anzi rivendica, ma contro la valutazione burocratica della qualità di un docente sulla base del concetto bastardo della produttività.
Questo nostro mestiere, che i grandi professori (non a caso chiamati maestri) hanno fatto con passione e rigore, è un compito sociale.
Non siamo venditori della merce ‘sapere’ e neppure i fornitori di un servizio.
Siamo, o dovremmo essere, parte di una comunità di liberi e uguali, che ha lo scopo, uno scopo che più degno e importante non si può: accompagnare giovani donne e giovani uomini a diventare cittadini colti e competenti, persone ‘verticali’, con la schiena dritta, capaci di pensare e di ribellarsi alle ingiustizie, e capaci di farlo perché competenti e istruiti, capaci di sviluppare le loro capacità, i loro talenti, di proteggere le differenze, le relazioni, la cura, e i cui risultati devono dipendere, in ultima istanza, dai loro meriti.
Con un tono fortemente polemico e spesso sarcastico, il professore analizza le parole-chiave – meritocrazia, efficacia, efficienza, eccellenza – delle “mode riformatrici” succedutesi negli ultimi decenni, mettendo in luce l’estrema delicatezza che la scelta degli indicatori utili a misurare proprietà qualitative richiede, nonché la necessità di fare i conti con i modi di pensare “divergenti”: la valutazione di persone di confine, con un approccio multidisciplinare, con personalità multiple e anarchiche è particolarmente difficile e vi è una elevata probabilità che la loro carriera sia penalizzata.
Piuttosto, parlando di efficacia ed efficienza dell’istruzione pubblica e dell’Università, occorre procedere con prudenza, modestia e attenzione ai contesti, distinguendo ad esempio per settori disciplinari, aree geografiche, situazione economica e disponibilità di “capitale sociale” nel territorio di riferimento.
L’autore interviene, inoltre, sulle questioni del baronato e del nepotismo, affermando che l’autonomia avrebbe dovuto servire anche a fare in modo che le scelte clientelari costassero, in termini di finanziamento e di credibilità, alle Università che le avessero avallate e sottolineando l’importanza della vigilanza sulla gestione delle persone, affinché coloro che lavorano poco e male – una minoranza numerosa – siano costretti a cambiare sistema.
Il saggio è corredato dalle immagini di Vinicio Bonometto e, in appendice, dal Piccolo Dizionario disperato e demagogico dell’Università a cura di Giovanni Azzena e Marco Rendeli, che aggiungono l’arma dell’ironia a quella dell’invettiva propria dell’autore.