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Writing - Writers - Interview | by SuccoAcido writing in Writing - Writers on 24/03/2011 - Comments (0)
 
 
 
Mila Spicola

Sacrificata alla logica dei tagli agli sprechi, prima con i decreti Gelmini e oggi con la spending review, mentre il disegno di privatizzazione avanza, la scuola pubblica italiana patisce la più generale crisi economica, risultando sostanzialmente impoverita sul piano delle risorse umane e materiali. Dispersione scolastica, classi pollaio, edifici non a norma di sicurezza, precariato e docenti in esubero sono alcune delle problematiche più gravi. Secondo una politica scolastica “schizofrenica”, si indice un concorso pubblico per insegnanti “giovani” dopo aver innalzato l’età pensionabile e aver bloccato, così, il naturale ricambio del personale scolastico, senza contare che le graduatorie ad esaurimento sono ancora stracolme di docenti abilitati dallo Stato in vario modo e a seconda delle decisioni dei governi del momento; si esautorano gli organi collegiali a favore di un consiglio in cui saranno presenti anche privati esterni, con il compito di valutare la qualità dell’offerta formativa degli istituti scolastici sulla base di quiz e di altre procedure ormai obsolete, che vari paesi europei stanno abbandonando per manifesta inutilità ed inefficacia; si impongono per il reclutamento di dirigenti scolastici e per l’accesso ai corsi abilitanti all’insegnamento test preselettivi, che poi vengono giudicati, anche dallo stesso Ministro Profumo, inadeguati, sbagliati e approssimativi. Se da un lato per gli insegnanti cresce il rischio di una nuova guerra tra poveri, dall’altro la figura del docente necessita di una ri-valorizzazione della sua funzione - educativa, culturale, etica, sociale - e di adeguati strumenti e metodologie per affrontare nuove sfide, come ad esempio la mutazione dei linguaggi, della velocità di apprendimento, dei processi di elaborazione e rielaborazione che caratterizzano i “nativi digitali”, cioè le giovani generazioni di alunni cresciuti nell’epoca della diffusione di massa delle nuove tecnologie informatiche. La disinformazione e l’opera di distrazione di massa, talvolta favorita dai mass media, certo non contribuiscono a far maturare la consapevolezza delle reali condizioni in cui versa il sistema d’istruzione del nostro paese. Di tali questioni, spinose perché vitali per la crescita degli studenti come individui liberi, consapevoli e coesi, abbiamo parlato con Mila Spicola, autrice del libro La scuola s’è rotta. Lettere di una professoressa (Einaudi, 2010). A don Milani, agli ex ministri Tremonti e Gelmini, alla collega dal registro perfetto, al primo della classe, all’ultimo della classe… le lettere di una professoressa che cerca di difendere il suo bellissimo mestiere dal disastro della scuola italiana e offre spiragli di cambiamento per salvare quell’istituzione che lei stessa considera il pilastro della nostra democrazia.

 
 

Incontro con l’autrice del libro La scuola s’è rotta. Lettere di una professoressa, Einaudi 2010.

SA: Ciao Mila! Insegnante, figlia di insegnanti, sei entrata di ruolo nella scuola pubblica con dieci anni di precariato universitario all’attivo. Ci racconti qualcosa del tuo percorso di formazione e di ricerca?
MS: Durissimo e entusiasmante. Le sconfitte sono diventate grandi opportunità: dopo la laurea in Architettura volevo fare la storica dell’Architettura, l’ho deciso da ragazzina quando visitai a dodici anni con i miei la chiesa di San Vitale a Ravenna, ma a Palermo per me refrattaria alle “richieste” le porte si sono chiuse: per sei anni di fila sono stata esclusa dal Dottorato di Ricerca per non aver mai voluto seguire una scia in particolare, un barone. Con enorme dolore allora ho deciso di andar via e, a primo colpo, ho superato l’ammissione durissima alla Scuola di specializzazione in Restauro dei monumenti alla Sapienza di Roma; arrivai prima con borsa di studio. Lo dico perché fu una rivincita personale che trasferisco a tutti i ragazzi che si rassegnano a lasciar perdere. Dopo la specializzazione ho vinto il Dottorato, sempre a Roma, che ho svolto tra Roma e Londra, e poi la ricerca, un percorso duro ma bello. Duro perché senza certezze, ma bello per i risultati. Ho avuto la soddisfazione di vedere le mie ricerche pubblicate sui lavori scientifici più importanti a livello internazionale. Però lo vedete in questi giorni: fare ricerca all’Università, specie nelle materie umanistiche, come la Storia dell’Architettura, è davvero un azzardo, i fondi sono davvero ridicoli ed è un ambito che non ha finanziamenti privati. Eppure siamo il paese del patrimonio artistico-architettonico.

SA: Perché, nella tua esperienza di qualche anno fa, insegnamento, impegno politico e Palermo sono diventati “una sorta di trinità inscindibile”?
MS: Perché l’ho deciso “scientemente”. Quando mi è arrivato il telegramma che ero entrata di ruolo senza aver mai insegnato nelle scuole (avevo fatto il concorso abilitandomi, ma sono entrata di ruolo per titoli e non per supplenze), nello stesso giorno mi proposero a Roma di candidarmi a Palermo per le primarie del nascente PD nel 2007. Sono stata una notte intera a decidere. Lasciare Roma dopo 15 anni non era una scelta facile, ma ho deciso che tornare a Palermo doveva avere un valore totale nella mia esistenza. Tornare non per me, ma per un progetto come dire…che si rivolgesse alla mia città. Ho maturato dentro di me per tanti anni una rabbia solitaria e inespressa che è cresciuta: l’impotenza e gli affronti che avevo subito. La volontà di essere libera da clientele o da cappe che asfissiano ogni ragazzo siciliano… perché non darle espressione in modo positivo? Per cambiare le cose. E ho pensato: qual è l’ambito più difficile, quello più “odiato” ma più necessario? La politica. Potevo scegliere l’associazionismo, il volontariato. Bellissime scelte, ma tutto sommato semplici e “pure”. Io penso invece che è necessario che chi se la senta e non cerchi altri fini se non il bene collettivo, faccia politica oggi. Per evitare che nell’adagio del “tutti sono uguali”, quegli uguali abbiano la via facile. Aggiungo: per fare politica devi conoscere i luoghi, i territori, i bisogni e le problematiche. Ecco: la scuola è il posto migliore, attraverso i miei alunni sono venuta a contatto con le loro famiglie, con le necessità e con i linguaggi. Non solo: la mia vita viveva spesso le loro identiche difficoltà e allora era come se fossi davvero insieme alla gente e viceversa. Fare politica è davvero un azzardo, non solo per le difficoltà esterne e oggettive della nostra terra, ma per gli attacchi interni, per le lotte di Potere. E allora tengo sempre presente la frase di Dalla Chiesa: “Bisogna innamorarsi non del Potere, ma del potere”. Il potere di fare del bene. Per me è stato un successo personale enorme scuotere le coscienze di tutto il mio partito, sui temi della scuola offesa. Ha dato il senso che volevo al mio impegno politico.
Il video di quell’intervento è il più visto da sempre su youdem. Ed è la scuola che parla. Altro che.
Vedere Bersani piangere poi è stata una sorpresa: ho pensato, ce l’ho fatta, adesso posso ritenermi soddisfatta. Da quel momento il PD, dopo mesi e mesi di indifferenza o di scarso impegno, ha preso a occuparsi di scuola con un’altra marcia: il forum nazionale sulla scuola, i dieci punti con le proposte... Certo in Sicilia mi hanno tolto tutti gli incarichi dopo quel giorno… ma quella è un’altra storia… io la mia vittoria il mio “potere fare” l’avevo già raggiunto.

SA: E in merito all’altra storia?
MS: Ti rispondo con la frase del Segretario regionale del PD Sicilia: “siamo tutti utili ma nessuno è necessario”, forse per lui, per come intende la politica e il partito, non sono necessaria. Per come la vedo io, sconto il mio peggior difetto: la troppa indipendenza di pensiero. In Sicilia, nel partito, dopo il mio discorso romano, silenziosamente ho perso ogni incarico esecutivo, per “normali avvicendamenti”, non faccio dunque parte più di nessun esecutivo specifico, non sono più responsabile scuola del PD a Palermo e non sono stata coinvolta in nessuna delle iniziative messe in campo dai massimi dirigenti del partito in Sicilia in quell’ambito, né a livello cittadino né a livello regionale, a parte qualche invito alle feste democratiche ma rigorosamente lontano da Palermo. Diversa invece è stata la situazione fuori da Palermo o fuori dal PD: venivo continuamente invitata in Sicilia, come in tutta Italia, per partecipare a incontri o iniziative che riguardavano la scuola. È stato faticoso ma entusiasmante. Inoltre attraverso una rubrica fissa (della quale debbo ringraziare Concita De Gregorio e uno dei caporedattori Cesare Buquicchio) su L’Unità, ho avuto la possibilità di intrattenere un dialogo diretto con quanti volessero discutere dei problemi della scuola. E devo dire che la risposta c’è stata. Ho avuto la grande soddisfazione di vedere uno dei mie articoli tra i più cliccati da sempre sul sito dell’Unità. Come dire: “nemo profeta in patria”. Ma poco male perché non penso che siano le cariche di partito a fare sì che si rivelino le capacità, politiche o su altro, di una persona, là dove esse ci siano.

SA: Nella premessa a “La scuola s’è rotta” ti definisci “un’equilibrista dell’educazione”. Che cosa intendi?
MS: Penso che mi possano comprendere i genitori: educare, avere a che fare con ragazzi nell’età delicatissima che va dagli 11 ai 14 anni, è davvero un gioco di equilibrismo. Sbagliare è facile. In più aggiungo le difficoltà di insegnare in una scuola a “utenza mista” - in periferia - ma non altamente degradata, anche se i ragazzi vengono da borgate difficili come Brancaccio, la Guadagna e Ciaculli. Per cui, di fronte, mi sono ritrovata davvero un ampio spettro di anime e di esistenze. È difficile ma stimolante: è un pluralismo utile a noi docenti come ai ragazzi. La sfida è omologarli verso l’alto e non verso il basso.

SA: Da dove è nata l’idea di un libro costituito da una serie di scritti in forma di lettere?
MS: Dall’editore. Mi hanno cercata loro: incredibile in un periodo in cui tutti vorrebbero farsi pubblicare vero? Alcune delle lettere erano circolate sul web: pubblicate inizialmente su MicroMega online, rivista con la quale collaboro da tempo. Lettere legate al mio impegno politico e a difesa della scuola a partire dalla mia carica di responsabile scuola del PD a Palermo. Ho cercato tutti i modi di diffondere consapevolezza su quanto hanno tentato e stanno tentando di attuare con i decreti Gelmini: un impoverimento reale e simbolico della scuola statale al quale io non mi rassegno assolutamente. È un ambito troppo importante: crescere uomini liberi, consapevoli e coesi. Questo è il compito della scuola statale e non possiamo permettere che qualcuno distrugga questo concetto basilare per la nostra essenza di Italiani. E allora: manifestazioni, sit in, proteste, scioperi… fino a quando sono arrivata alla penna. È il mezzo più facile e potente: la parola e i pensieri. Quello che so usare meglio. Einaudi mi ha proposto di aggiungere alle due lettere, quella a don Milani e quella a Tremonti, altre e di farne un libro. Ed eccolo. E sono strafelice perché è andato esaurito già nella prima edizione: non è vero che la scuola non interessi. È che non ne sanno parlare.

SA: Chi non ne sa parlare o preferisce non saperne parlare?
MS: I Media per primi. Ma anche il mondo politico. È un tema ostico, anche se tutti pensano di saperne qualcosa. Il sistema scuola è un sistema estremamente complesso, per cui o si rimane solo in superificie oppure si diventa tecnici e autoreferenziali. Invece bisogna puntare su alcuni temi, alcune criticità a raccontarle in maniera comprensibile ma quanto più esatta possibile. Inoltre sia ai primi che ai secondi interessa davvero poco, con pensiero miope e falsato: la scuola riguarda tutte le famiglie italiane e dunque sarebbe il caso di sforzarsi di cambiar rotta.

SA: Potresti dirci qualcosa sulla scelta dei destinatari delle lettere?
MS: Avevo e ho un elenco lunghissimo di destinatari: per me chiunque è destinatario di quelle lettere. L’intenzione era di scrivere a tutti: dal farmacista, all’ortolano al sacerdote. La selezione per fortuna non è stata mia ma del mio editor. Lui ha scelto quali e quante. Ma sono molte di più. Perché l’intenzione è quella di inondare l’Italia. È una minaccia. Una delle lettere escluse, quella al Presidente Napolitano, è uscita nel numero di MicroMega in libreria a dicembre scorso ad esempio.

SA: Nella lettera all'ex Ministro dell’Economia e all'ex Ministro della Pubblica Istruzione, sottolinei il fatto che la Scuola pubblica da “agenzia educativa”del paese, insieme alla famiglia, è diventata un parcheggio per ragazzi, e non una ludoteca. Quali sono le origini di questo declino e come si inserisce nel quadro più generale della crisi del sistema sociale collettivo?
MS: È stato un concorrere complesso di cause. Da un lato la scuola: mondo autoreferenziale che non si è accorto che lo stavano minando e per “quieto vivere” spesso non ha reagito adeguatamente. Di questo accuso molti colleghi “dormienti” persino adesso. Non basta dire “tanto non si può far nulla” perché da questo nasce la connivenza e lo sfaldamento delle azioni collettive. In fondo, va detto, i primi ad aver perso una coscienza altissima del loro valore sono stati proprio i docenti. Ma i motivi sono tanti: la trascuratezza delle istituzioni, la scarsa valorizzazione, gli stipendi bassissimi che equiparano senso e funzioni. Il lavoro ha sempre un valore, che sia chiaro, ma posso affermare che insegnare è cosa ben diversa che fare la commessa? Con tutto il rispetto e l’affetto profondo, attenzione: ma la responsabilità delle coscienze non puoi equipararla in modo superficiale, quando poi altre professioni sono strapagate. E allora la crisi è fondamentalmente di senso e di funzioni. Per progettare un bagno di lusso quando esercitavo la professione di architetto, ho preteso quello che da insegnante guadagnavo in un anno. Ottenendolo. E allora? Ecco a cosa mi riferisco. Forse è il momento di riequilibrare senso e funzione per ridare valore alle azioni. E questo può accadere grazie a insegnanti motivati e attivi che lo trasmettono ai ragazzi, insieme, e non in competizione, con le famiglie. Coi decreti Gelmini tutto ciò viene bypassato, non se ne parla. Si parla solo di quantità: ore, voti, soldi, numeri, classi, metri quadri. Una desolazione e una povertà di concezione che fanno orrore a chi crede nella scuola e nell’insegnamento.

SA: Pensi che la “razionalizzazione” della legge Gelmini sacrifichi la qualità del sistema scolastico, traducendosi in un regresso e ledendo, di fatto, il diritto allo studio e il diritto al lavoro, sanciti dalla Costituzione?
MS: Risposta: sì. In senso reale, per le ricadute che hanno avuto i tagli nelle scuole e in senso simbolico. Perché colpire giusto la scuola? Perché non le spese militari? Lo ripetiamo come una cantilena, eppure non danno risposte se non falsi slogan. Per fare Scuola con la S maiuscola ci vogliono soldi. Soldi non buttati, ma necessari: per aggiustare le scuole in primis. “La scuola s’è rotta” non è solo uno slogan: due scuole su tre in Italia sono fuori norma. Pericolose, insicure e inagibili. Ci stanno i nostri figli. Chi ritiene la sicurezza dei ragazzi italiani uno spreco alzi la mano. Così lo mandiamo in galera. E invece sentiamo sempre il solito slogan sugli stipendi degli insegnanti. È un’opera di distrazione di massa, oltre che di distruzione.

SA: In merito alla manovra di Tremonti, affermi che “i tagli del boscaiolo cieco” obbligano i docenti a violare la legge. Che cosa si verifica esattamente?
MS: Intanto stare in una scuola che non ha il certificato di agibilità (il 47% delle scuole italiane) è già una connivenza nell’illegalità. Avere in una classe più di 25 alunni, numero previsto dalle leggi antincendio per defluire velocemente in caso di incendi o calamità da una sola porta, è un’altra illegalità. Ammassare alunni in una classe è un’altra illegalità: ogni alunno deve avere un minimo di spazio a testa, cosa che viene tranquillamente disattesa. Dividere alunni nelle altre classi quando manca un docente è un’altra illegalità: lede il diritto allo studio di quei ragazzi. Continuo?

SA: Vorresti aggiungere qualcos’altro? E le famiglie reagiscono a queste violazioni? Ne sono informate?
MS: Bisogna avere la pazienza e l’energia di spiegar loro cosa sta accadendo. I più sensibili sono i genitori delle elementari: hanno capito subito che qualcosa è cambiato, specie in termini di ore di scuola, ma anche di qualità. È che molti non sanno come reagire e dove canalizzare la protesta. Anche perché alle proteste si oppongono muri inespugnabili.

SA: Siamo l’unico paese dell’Unione Europea che non investe in cultura, ricerca e innovazione, al contrario le penalizza. A favore di quali altri settori?
MS: Aiuto: mi vien da dire tutti. In primis, l’ho già detto, gli armamenti. Le spese in armamenti sono cresciute di 4 miliardi l’anno. Per quale motivo? Per quale necessità economica e sociale?

SA: Chi sono i “nativi digitali” e che cosa intendi per “dramma della velocità”?
MS: “Nativi digitali” sono i nostri ragazzi. Quelli che sono nati e stanno crescendo con a disposizione le tecnologie informatiche e il web. Non come noi che siamo stati prima dei “cartacei” e poi dei digitali. Significa avere un bagaglio informativo a disposizione mille volte più ampio e in contemporanea. Significa azzerare molti processi di metabolizzazione e riflessione. Significa mutazione dei linguaggi, dei sensi e delle velocità di apprendimento ma anche di elaborazione e rielaborazione. Significa una cosa delicatissima e complessissima con la quale in pochi cominciano a misurarsi coscientemente, parlo di pedagogia e di insegnamento. Ecco di cosa dovrebbe occuparsi il Ministero in una vera riforma. Non di grembiuli e ore. Ma di cambio totale di metodologia prima che i nostri linguaggi diventino assurdi e incomprensibili in un mondo che ormai parla un’altra lingua. Persino noi adulti adesso abbiamo altre velocità e altre abitudini. A scuola si insegna ancora a scrivere una lettera, a mano tra l’altro. Quanti di noi adulti lo fanno ancora? Pochissimi. E quanti tra i ragazzi? Nessuno. Dobbiamo far finta di niente?

SA: Perché consideri la nuova generazione di alunni la più difficile, ma anche la più stimolante?
MS: Per i motivi di cui sopra. Per tante cose sono indietro, ma per moltissime cose sono anni luce avanti. E allora, per chi insegna col cuore e con professionalità, tutto ciò è una sfida meravigliosa.

SA: Nella lettera a una mamma emergono le difficoltà che gli insegnanti incontrano nella condivisione con i genitori del progetto educativo sui loro figli. Perché accade sempre più spesso?
MS: Perché molti genitori hanno annullato le distanze necessarie per avere efficacia sui loro figli. Per educare devi essere al di sopra. Sennò non educhi. Molti genitori non lo sanno o non lo sanno fare.

SA: Secondo te, da dove deriva e perché viene alimentata l’idea di “docente fannullone”?
MS: Da un’idea comune diffusa e travisata. Dalla scarsa informazione. Dalla scarsa professionalità e motivazione di pochissimi colleghi che però fanno più notizia dei migliaia di insegnanti che si spendono e faticano. In maniera molto realistica e cruda dico: per quello che sono pagati anzi sono eroi. E se qualcuno mi risponde: ma è una missione e tu pensi ai soldi! No. È una professione, che molti fanno con amore. Ma è e rimane una professione con grandi responsabilità. Se dovessimo essere pagati per le nostre funzioni – personale laureato e specializzato -, dovremmo avere 150 euro lordi l’ora. E non mi si parli delle “vacanze estive”… pagatemi il giusto e io lavoro anche a Natale. Il giusto, non di più di quello che è giusto.

SA: Gli intellettuali danno il loro contributo alla difesa della scuola pubblica?
MS: Risposta: no. Se non in modo superficiale. Se poi li interroghi e chiedi ne sanno poco o nulla e se chiedi appunto del “docente fannullone”, quasi quasi concordano anche loro: perché esiste una pigrizia conoscitiva generalizzata che è anche segno di sfaldamento sociale. Gli intellettuali dovrebbero combatterla e invece spesso ne sono portatori insani.

SA: Tanti anni fa un giornalista chiese a Gesualdo Bufalino: “Che cosa ci vorrebbe per sconfiggere la mafia in Sicilia?”. E lui rispose: “Un esercito di maestri e maestre”. Gesualdo Bufalino credeva fermamente nel potere dell’istruzione pubblica, ma adesso cosa sta succedendo?
MS: Ci crediamo ancora, ma facciamo finta di nulla. Nel senso che a fronte dei tagli tutta la scuola siciliana doveva sollevarsi contro. Non solo i precari. E dunque siamo tristemente conniventi.

SA: Da dove partire per realizzare la “rifondazione culturale ed etica della scuola”, di cui ti fai portavoce?
MS: Dalla valorizzazione del mestiere e dell’istituzione. La cultura è la nostra identità. Chi non ne è degno non ne faccia parte. Questo dico io. O si alza la voce e si tengono i piedi fermi, senza scuse, senza se e ma, senza frasi rassegnate e gattopardesche del tipo “tanto non cambia nulla” oppure si è complici dello sfascio. C’è una frase di un partigiano prima di essere fucilato sotto il fascismo: “non ripetetevi come ciò sia potuto accadere, è accaduto perché voi non ne avete voluto sapere nulla”.

SA: Il Ministro Profumo, succeduto a Mariastella Gelmini, ha disatteso le aspettative di chi credeva nel cambiamento della scuola pubblica. Condividi questa delusione?
MS: Lo ha detto lui stesso: agirò nel solco del precedente Ministero. E quel solco è quello del taglio di risorse sia finanziarie sia umane. C’è stata una sequela di proclami altamente demagogici, specie riguardo a tutta la questione del “merito”. Io penso che il merito a scuola ci sia eccome, come anche nel percorso degli studi universitari. Ci sono i voti, le promozioni, le bocciature. Semmai il problema del riconoscimento del merito arriva subito dopo. Il nostro è un paese dove qualunque carica, qualunque lavoro, qualunque posizione non si conquista per merito, ma per cooptazione, per nepotismo e familismo o per raccomandazione. Ecco il vero problema. Per cui è un po’ ipocrita limitare il tema del “merito” alla scuola, quando poi, dopo la scuola o la laurea i “meritevoli” hanno due vie: o sottostare al ricatto della cooptazione, e dunque essere “schiavi” a vita per riconoscenza, o andarsene via lontano. Recentemente ho intervistato per l’Unità un giovane ricercatore di Catania che ha denunciato una commissione concorsuale per irregolarità. Ecco: Profumo si convinca che assicurare il merito vuol dire assicurarsi la regolarità e la trasparenza a tutti i livelli nel paese, non altro. E poi: il pasticcio dei test sbagliati per la selezione del concorso dei dirigenti, quelli sbagliati della selezione dei TFA… di che merito parliamo? Esiste anche assicurare il riconoscimento dei demeriti, è una forza di merito no? Chi ha pagato per quegli errori madornali? E infine il concorso appena bandito. Anche qua ci sono punti davvero poco chiari. Il Ministro dice che vuole forze giovani nella scuola. Magari. Eppure questo governo ci vuole in classe fino a 67 anni. Per carità, io insegnerei fino ad 80, ma è giusto per i ragazzi, per le loro famiglie e per la qualità della scuola? Inoltre a questo concorso potranno partecipare solo gli abilitati, che proprio giovani giovani non sono. E su quali cattedre? Se i tagli alle cattedre, appunto, sono stati confermati? La mia domanda è: non si creano nuove liste di precari con questo concorso? E perché non aprirlo a tutti i laureati e pensare un meccanismo concorsuale diverso? Visti i fallimenti dei recenti concorsi?

SA: Le priorità del MIUR coincidono con le reali emergenze della scuola pubblica? Le affrontano?
MS: Penso che il paese intero non abbia reale idea di quali siano le emergenze vere della scuola statale (pubbliche sono anche le parificate). Negli ultimi anni mi sono concentrata a studiare i sistemi d’istruzione per capirne di più e tentare di formulare proposte in modo avveduto. Da un anno poi collaboro con Roma Tre con un dottorato proprio in valutazione e innovazione dei sistemi d’istruzione. Sto studiando come funzionano gli altri sistemi, quelli che funzionano, la Finlandia e la Corea del Sud, sto studiando il nostro, tornando alla radice, ai grandi pedagogisti che non solo hanno fondato la ricerca pedagogica in Italia, ma hanno contribuito alle riforme. Un tempo ricerca educativa, mondo della scuola e politica agivano insieme, studiavano insieme provvedimenti e direzioni. Oggi questi tre mondi sono completamente sconnessi, peggio: si fanno la lotta. Diceva Dewey: se le grandi agenzie educative della società non concorrono insieme ma agiscono in modo sconnesso si creano quelli che potremmo definire “sprechi educativi”. Sembra parli oggi, Dewey lo diceva cento anni fa. Lo cito non per tornare al passato ma per dare valore alla ricerca e alla competenza nell’analizzare e agire sui sistemi educativi. Oggi vince il “buon senso”, l’“opinione corrente”, chi è contro il merito? Chi è contro la valutazione del sistema scuola? Ovviamente gli elettori applaudono, è normale buon senso. Il problema è: quale merito, quale valutazione, in quale sistema e per quali emergenze? Il buon senso è il nemico della scienza, lo diceva Newton. La scienza, il progresso seguono altri metodi: analisi, studio, sperimentazione, confronto, competenza. E così dovrebbe essere per la scienza pedagogica, l’unica a dover governare i processi educativi. Così accade in quei sistemi che ho citato sopra, il finlandese e il coreano. Il paese e la politica sono insieme nel cercare il meglio: ma il meglio non è il provvedimento parziale e variabile che vuole l’elettore o il ministro di turno. Il meglio è quello che esige quel sistema in quel dato momento e per emergenze studiate, analizzate e valutate. In questi ultimi provvedimenti c’è un po’ di buon senso, cioè di luogo comune, e quasi zero di analisi, confronto, sperimentazione e competenza. Mi tremano i polsi paragonando la complessità dei problemi e dei temi e la superficialità, molto demagogica e fuorviante, con cui spesso si danno in pasto al paese. Chi si occupa sul serio e da anni di queste cose rileva come gli ultimi provvedimenti siano di tipo marginale, non strutturale (l’ipad a scuola, il merito come premio al primo della classe, i test invalsi, i tfa…). Cosa intendo per provvedimenti strutturali? Un’analisi sulle condizioni di formazione e immissione nella professione della classe docente. Una valutazione obiettiva sui cicli. Scuola media e biennio superiore: siamo sicuri che non ci sia nulla che non vada? I numeri dicono il contrario. Una valutazione del mondo delle scuole tecniche e professionali: la vera zavorra del sistema che invece in Germania rappresenta la spina dorsale della classe di lavoratori. Le metodologie didattiche e pedagogiche: non solo in ingresso, ma anche in itinere. È possibile non pensare a un piano nazionale, unitario, periodico e organico di aggiornamento dei docenti? Eppure lo chiediamo da anni. Ci rispondono: ogni scuola è autonoma, può deciderselo caso per caso. Non penso basti: le linee metodologiche del sistema educativo devono essere condivise, conosciute e armonizzate in tutto il paese, poi, certamente, ciascuno si regoli in autonomia, ma a me sembra che l’“autonomia” per certe “rogne” diventa la scusa per deresponsabilizzare il Ministero su certe scelte necessarie. Innovazione, metodologia, valutazione, didattica delle competenze. Temi cruciali e troppo importanti per lasciarli all’autonomia. Non si può avere una frantumazione così abnorme sul piano delle metodologie, delle conoscenze e delle risorse umane: per cui “beccare” il meglio (di una scuola, di un corso, di una città) è una fortuna per alcuni e un’ingiustizia per gli altri. Il livello deve essere mediamente uguale, si spera tendente all’eccellenza. È il senso della scuola della democrazia. Ecco, questi sono problemi strutturali, non certamente il premio al primo della scuola. E potrei continuare. In tutto ciò non vi leggo una mala fede del Ministro, o un non volerlo fare. Rilevo solo che, a sentirlo parlare e a vederlo fare, semplicemente queste cose le sconosce. Il che non va bene. Lo ha dichiarato lui stesso che “di scuola ne sa molto perché la moglie è una docente”. E i polsi mi tremano ancora. Nemmeno un docente basterebbe, ripeto: didattica, pedagogia, governance dei sistemi d’istruzione, valutazione dei medesimi. Ci vorrebbero task force di esperti veri e illuminati. Capaci non tanto di incontrare il gradimento dell’opinione pubblica sul metro comune del buon senso, bensì in grado di prendere decisioni complesse, difficili, innovative, anche contro il buon senso comune ma secondo scienza e coscienza. Per una volta almeno. Ad esempio la vera emergenza in questo istante sono dispersione scolastica e livelli cognitivi dei ragazzi del sud e delle scuole tecnico-professionali. Come si sta agendo? Dando soldi alle scuole e dicendo: bene, sbrigatevela voi. Non funziona: ci vogliono azioni di sistema, non la buona volontà del singolo preside o del singolo docente. Ci vogliono piani generali di azione a livello regionale e territoriale, organici, unitari e continui nel tempo. È ovvio che non funziona se lo lasci alla buona volontà e alle capacità individuali: un sistema deve andare avanti per programmazione non per discrezionalità. Persino il buon senso urla. Eppure è così: in molti casi la scuola va avanti per discrezionalità. In questo senso sono favorevole ai controlli, però non dopo aver messo in mano a chi vi lavora degli strumenti adeguati: aggiornamento, strutture e tempo.

 


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Bibliography, links, notes:

Pen: Emilia Calabria

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Mila Spicola
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Tra i precari, a una delle tante manifestazioni contro la Gelmini nel 2009.
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Incontro nazionale del PD, Roma, 19 giugno 2010.
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Meeting veDrò, Dro, fine agosto 2010.
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Intervento all’’iniziativa organizzata da Matteo Renzi e Pippo Civati, Firenze, 6 novembre 2010.
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Mila Spicola, “La scuola s’è rotta”, Einaudi 2010.
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