Il vento fa il suo giro / Giorgio Diritti / 2005 / 110’
Il vento fa il suo giro, un film di Giorgio Diritti, prodotto da aranciafilm e imago orbis (Italia, 2005, 110’)
Un film visibile (per miracolo) a Palermo al Cinema Lubitsch, unico spettacolo alle ore 21:00
Il film inizia con una fuga e finisce con la ritirata dalla meta della prima fuga, meta diventata a sua volta insopportabile.
La scelta della doppia fuga, prima dalla Francia e poi dall’Italia, verso la fuga permanente è la soluzione che mi piace di più. Sostengo molto il concetto di fuga, come insegnato da Laborit in “Elogio della fuga”, che non è un ripiego, ma l’unica soluzione per restare sani, nel corpo e nella mente.
Regia: Giorgio Diritti Interpreti: Thierry Toscan, Alessandra Agosti, Dario Aghilante, Giovanni Foresti. Durata: 110 min Nazionalità: Italia Anno: 2005 Genere: Commedia Produzione: Imago Film, Arancia Orbis
Questo è uno di quei film per cui vale la pena scrivere una recensione cinematografica. Per due motivi: il primo è perché nessuno lo conosce e quindi bisogna assolutamente parlarne; il secondo, per contrappasso, è che inutile parlare di quelli inutili, dei quali per giunta si parla tanto.
Per fare un’allusione a uno di quelli inutili: contro un caos calmo, per una tempestosa tranquillità!
Il nostro film è l’esatto contrario di quell’altro: povero di mezzi, di soldi, di attori famosi, di pubblicità, privo di un soggetto roboante, di distribuzione, di accattivanti quanto inutili scene di sesso, … insomma di tutto quello di cui è ricco l’altro. Mentre è ricco di idee, sentimenti, di attori sinceri, di belle immagini, di drammaturgia, di senso, di messaggi,… insomma di tutto quello di cui è povero l’altro.
Ma abbandoniamo inutili confronti e consideriamo l’opera cinematografica in quanto tale.
In realtà questo è solo in apparenza un film sconosciuto; è sconosciuto solo all’informazione televisiva pagata dalle grandi case distributrici. Basti vedere l’elenco dei premi che ha ricevuto.
Quello che mi colpisce innanzitutto è la sincerità. La sincerità di ogni inquadratura che viene da quello che molto semplicemente possiamo chiamare urgenza di raccontare in immagini un sentimento o un’idea (necessità spesso assente in un contesto in cui valgono solo le leggi del mercato).
“Il vento fa il suo giro” inizia come un documentario (due personaggi che chiacchierano in auto immersi nel magnifico paesaggio delle valli cuneesi), ma la forza delle immagini (citazione dell’inizio di Shining), delle idee (il messaggio contenuto nella bella frase “Il vento fa il suo giro”) e della drammaturgia (il flashback) lo “trasformano” molto rapidamente in un film, un vero film per così dire. I personaggi acquistano una loro psicologia che non è imposta dal marketing, ma dalla storia originale. Questa quindi invece di concentrarsi su un solo personaggio diventa quasi corale, come in genere è lo spaccato di una vita, soprattutto in una piccola comunità (Chersogno).
In realtà la mia spinta sincera non è scrivere una vera critica, entrando “criticamente” nel lungometraggio, ma quella di fissare su carta delle riflessioni che mi vengono guardandolo. E non dovrebbe essere questo il fine ultimo dell’arte cinematografica? Far riflettere.!?
Il tema principale è la difficoltà di relazionarsi con l’altro. Una mia considerazione (molto schematica) è che l’intolleranza, per usare un brutto termine, si trova sia in città che in campagna, perché, in fin dei conti, viene dal nostro primitivismo: siamo ancora dei semplici primitivi, con lo schema delle tribù da difendere da ogni forestiero. Facciamo finta di essere civilizzati e tolleranti, e invece complichiamo la vita di chi crede che il mondo possa essere “civile”, cioè non primitivo.
Il film (la vita forse…) inizia con una fuga e finisce con la ritirata dalla meta della prima fuga, meta diventata a sua volta insopportabile.
La scelta della doppia fuga, prima dalla Francia e poi dall’Italia, verso la fuga permanente è la soluzione che mi piace di più. Sostengo molto il concetto di fuga, come insegnato da Laborit in “Elogio della fuga”, che non è un ripiego, ma l’unica soluzione per restare sani, nel corpo (quando eravamo attaccati da belve più forti di noi) e nella mente (ora che la società ci fa impazzire con schemi inumani e “inambientali”).
Ci illudiamo che ci siano delle soluzioni, in realtà l’unica soluzione è ammettere “la sconfitta” (concetto che esiste solo se si pensa possa esistere il successo) e fuggire.
In un mondo disastroso come il nostro chi vuole vivere con gli altri può farlo semplicemente in una fuga continua.
Salvo Manzone
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