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Sergio Nazzaro / Io, per fortuna c'ho la camorra / Fazi Editore |
Del vivere in terra di Camorra. Per fortuna non tutti tacciono. |
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Un italiano zoppicante, imperfetto quanto le cadenze cantilenanti della gente del Sud. A casa che si dice, lo hai sentito più a quello e la salute come va, ‘a fatica che dice… Un procedere ellittico, aspro come uno sfogo amaro con una persona amica. La certezza dell’immutabilità che non diviene sconforto ma denuncia, indignazione, ira. Una scrittura che, più che le pistolettate o le bombe dei carnefici, descrive attimo per attimo i contorcimenti delle viscere di chi deve subire. Gente i cui margini di intervento sulla realtà, i cui spazi di parola si limitano al poter scegliere in quale supermercato taglieggiato dal pizzo andare a fare la spesa.
E così Nazzaro, cercando di rendere il reale, si inventa anche uno stile polifonico: un intarsio di italiano, dialetto e termini sapidi espressi attraverso un continuum di discorso diretto e indiretto, interviste, assonanze, sgrammaticature, interrogazioni retoriche e parole riportate, pensieri fugaci che diventano parola scritta, frasi che assurgono all’onore di divenir battuta ed altre che si disciolgono nella narrazione.
Sullo sfondo agglomerati urbani informi, strade senza inizio e senza fine che sembrano qualcosa di organico, espressione di una mentalità più che di razionalità costruttiva. E, in questo grigiore, ogni tanto si accendono piccoli bagliori narrativi, improvvisi tocchi di colore: le cassiere-ragazzine che parlano troppo, le file variopinte di prostitute sulla strada, le persone che fanno ginnastica su di un cavalcavia interrotto e mai terminato, una sala fredda e semivuota in cui si commemora un sindacalista, il “lugubre sogno di grandezza andato in acido” di Villaggio Coppola…
Nazzaro riesce a rappresentare, anzi, a far diventare tutt’uno con la sua esposizione, la nebulosità di luoghi, persone e circostanze. Le voci, gli avvertimenti che arrivano da ‘amici’, le armi che sbucano non si sa bene da dove, le persone che scompaiono o muoiono, non si sa bene perché. Una nebbia lattiginosa pervade il Mezzogiorno (altro che Val padana!), un’indistinta opaca vaghezza, nella quale si dissolvono in mille sfumature concetti quali Stato, moralità o giustizia, dispersi tra la molteplicità dei punti di vista da tener presente nel valutare le azioni degli uomini.
E su tutto il male, che si incarna negli aguzzini della quotidianità, che da essi si travasa nelle persone complici, compiacenti, forzatamente solidali, omertose per poi investire e schiacciare la gente comune. Un ribollire di bile al vedere le sofferenze giornaliere dell’esistere, del sopravvivere. E, sotto il velo del silenzio e della rassegnazione, un’umanità stravolta da tanta violenza che deforma, sfigura.
Allo stesso tempo, però, Nazzaro riesce a tracciare attraverso questa no man’s land una linea diritta, rigorosa che divide la gente perbene da quella torbida, i pezzi virtuosi dello Stato da quelli collusi. E verso questi ultimi l’attacco è diretto, frontale.
Ne esce a pezzi anche la tanto blandita società civile, in una terra di compromessi dove i fortunati guardano altrove e gli altri si adattano. Quell’area intermedia di professionisti, imprenditori, amministratori che, quando non fanno parte del Sistema, vengono a patti con esso e ne accettano le regole per poterne sfruttare i vantaggi. Chi è più colpevole: il poveraccio analfabeta che diventa manovalanza o il professionista borghese che vende la sua presunta moralità cedendo al compromesso o addirittura cercandolo?
E nel dare voce, solo in tre casi attraverso delle interviste lunghe, a coloro che hanno davvero qualcosa da dire (il fratello di un sindacalista ucciso, un “guardio”, uno “sbirro d’ambasciata”), dallo sconfortante intrecciarsi di storie emergono con la forza di un pugno, inaspettati, cifre e dati inappellabili, finalmente lontani dai teatrini televisivi dei bisticci tra politici.
Infiniti archi narrativi, lunghi una frase o più pagine, si sovrappongono e si connettono tra di loro, come cerchi sull’acqua. Da un personaggio si passa ad un altro, da una situazione ad una breve vicenda, in un’infinita serie di parentesi. Emerge così il senso di tante esistenze intrecciate tra di loro e di episodi allucinanti che richiamano alla memoria altri episodi, innumerevoli anelli della stessa catena. Piccole storie che hanno il sapore improbabile della vita vissuta.
Nazzaro riesce a rappresentare le certezze e le incertezze del quotidiano nei territori controllati dalla Camorra (con la ‘C’ maiuscola) evitando con il suo stile ‘da strada’ fortemente parlato, spurio, bastardo le secche della retorica che inquina il discorso di molti forestieri saccenti. E alla fine riesce ad essere credibile sia quando racconta e descrive che quando denuncia, quando fa i nomi (quanti lettori capiscono il rischio del non esser vago?), quando il suo discorso si fa pieno di ira. Di quanti altri scrittori contemporanei possiamo dire lo stesso? |
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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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Bibliography, links, notes: |
pen: Christian Costa
Sergio Nazzaro, Io, per fortuna c'ho la camorra, Fazi Editore
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