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Cinema - Authors - Interview | by SuccoAcido in Cinema - Authors on 02/05/2001 - Comments (0)
 
 
 
Ken Loach

Ken(neth) Loach durante tutto l’arco della sua trentennale carriera, attraverso l’esperienza alla BBC come regista di serie televisive e documentari, a quella di regista di film come “Poor Cow” (’67), “Family Life” (’71), “Ladybird, Ladybird” (’94) e “Hidden Agenda” (’90), è stato un acuto osservatore della società Britannica. Poi la sua attenzione si è spostata verso scenari diversi, come in “Terra e Libertà”, sulla guerra civile spagnola del’36, un angolatura da cui leggere l’intera vicenda del ‘900, “La canzone di Carla” (’96), sulla questione Nicaraguese, e il suo stesso ultimo lavoro, “Bread And Roses” (’00), ambientato a Los Angeles, che affronta il tema dell’immigrazione clandestina e della riorganizzazione sindacale di categorie di lavoratori particolarmente deboli. Loach dal suo obiettivo ha visto e raccontato una realtà solitamente muta, segnata da contraddizioni e sopraffazioni quotidiane, costretta tra le mura domestiche, distorta dalla sua riproduzione mediatica e soffocata da un bisogno di coerenza che sembra nascondere le possibilità di riscossa sociale; eppure il regista Inglese non è cerebrale, né celebrativo, piuttosto preferisce parlare attraverso un realismo spiazzante, condito da uno "scomodo" senso di tensione all'agire, pur rimanendo sempre ironico e diretto. L’occasione di incontrare il regista Inglese è l’inaugurazione di una retrospettiva sui suoi film curata dalla cooperativa Edison di Parma, e la presentazione del suo “primo film americano”. Loach è un uomo pacato, semplice nel suo ragionare in modo lineare, e ci tiene subito a precisare di essere sempre stato contrario ad iniziative (come questa a cui è stato invitato) supportate da capitali privati, ma di comprenderne l'inevitabilità e scherza sul fatto di provenire da un ex impero, quello Britannico, da cui deriva probabilmente l'aspettativa che ognuno capisca la sua lingua, l'Inglese, ma aggiunge anche che in questo clima di globalizzazione della cultura è importante difendere ogni lingua, Italiana, Francese, Inglese che sia...

 
 

SA: Qual è il peso della musica nella produzione di un film?
KL: Io credo che la musica sia molto importante in un film, è chiaro, ma credo anche che sia molto pericolosa perché può suscitare emozioni che il pubblico non merita, visto che non sono le scene a suscitare queste emozioni. Credo che sia meglio utilizzare la musica in modo molto moderato. Le emozioni dovrebbero provenire piuttosto dalle immagini che si vedono, dalla relazione tra i personaggi, dal modo in cui il film è stato girato. Chiamo un modo molto pigro di fare cinema quello di introdurre un violino per suscitare certe emozioni. Deve essere la scena stessa che genera tristezza, non la musica.

SA: Secondo lei la cultura può influenzare la politica?
KL: Credo che la sequenza sia la seguente: l'economia influenza la politica, che a sua volta influenza la cultura e non viceversa. Questo soprattutto per quanto riguarda la cultura popolare. Nei termini della cinematografia, i film sono interpretati come dei prodotti che devono soddisfare il mercato. E l'idea di mercato per cui libertà significhi mercato libero, è un aspetto della cultura dominante. Quelli come me, che cercano di sovvertire questo sistema, sono un po' nell'occhio del ciclone; è quella che io chiamo la controcultura, la stessa che organizza, come a Seattle, delle manifestazioni ad ogni incontro di organi internazionali. L'esperienza della maggior parte di noi è che temi tipici della gente non siano riflessi nei film, sicuramente non nel teatro, indirettamente nella musica popolare. Esperienze come la disoccupazione ed il degrado ambientale non vengono trattati nella filmografia attuale. Purtroppo il problema è che per molti versi le attività culturali si esprimono in consumo di beni.

SA: E' chiara e nota a tutti la sua collocazione politica, ma secondo lei cosa vuole dire oggi essere di sinistra?
KL: Sicuramente la storia di questi ultimi decenni ci costringe ad una nuova definizione della Sinistra. I maggiori partiti che vi si richiamano, danno maggiore priorità a questioni commerciali (alle esigenze dell'economia di mercato), piuttosto che ai lavoratori. Credo che per quanto riguarda i partiti di sinistra in Gran Bretagna, il Partito SocialDemocratico, il Partito Laburista, oggi sono a favore di politiche di privatizzazione, flessibilità sul lavoro, riduzione fiscale per le aziende e la riduzione dei diritti sindacali. C’è un gran vuoto nella sinistra, un vuoto che grida, che chiede organizzazioni che vengano una volta per tutte a difendere i diritti dei lavoratori. I sindacati dovrebbero difendere questi diritti, ma preferiscono l'alleanza con i Laburisti. Comunque l'aspetto positivo di tutto questo è che almeno oggi sappiamo esattamente chi sono i nostri nemici, e cioè quelli che si fanno chiamare socialisti, ma che non hanno in realtà niente di socialista. Adesso noi sappiamo contro chi dobbiamo combattere.

SA: Per quanto riguarda la sua formazione, qual è stato il ruolo del teatro e della televisione?
KL: Sicuramente il fare TV ha influenzato il nostro modo di fare cinema, la televisione negli anni '60, in Inghilterra, era il nostro cinema, molto di più di quanto potesse essere negli altri paesi Europei. Per il gruppo con cui ho iniziato a lavorare, il contesto di lavoro era una drammaturgia televisiva molto arcaica e stilizzata.Avevamo uno spazio che veniva dopo il telegiornale, quello che cercavamo di fare era una fiction molto realistica, che ne richiamasse lo stile. Quindi utilizzavamo telecamere di 16mm direttamente sulla strada, cercando di lavorare in modo documentario. Era un piccolo tentativo di realismo. Poi abbiamo cercato di raffinare questa tecnica per adattarla al cinema. Il criterio era rendere il film più autentico possibile.

SA: Come si è relazionato alla produzione in senso economico dei suoi film?
KL: Nei primi trent'anni del nostro lavoro ci siamo scontrati con un vero disastro nel cercare di conciliare il nostro approccio con le leggi del mercato. Abbiamo cominciato con piccoli successi alla tv e verso la fine degli anni '60, inizio '70, sono usciti tre film sulla scia del successo televisivo, l'ultimo dei quali è stato "Family Life": è stato un vero e proprio insuccesso, gli introiti non avevano neanche coperto le spese. Il produttore era su tutte le furie, perché quando gli avevamo proposto il film, gli avevamo suggerito si trattasse della storia di una teenager e dei problemi con il suo ragazzo...quando ha visto il film e che trattava di elettro-shock e terapia, era veramente fuori di sè. "Family Life" uscì nel '71, e a causa di quest’insuccesso, per 10 anni non sono riuscito a fare film. L'elemento che ha cambiato un po' la situazione, è stato l'avvento di un nuovo canale tv: Channel 4 (emittente culturale pubblica-n.d.r.). La cosa buona è che hanno destinato dei fondi per la creazione di film che sarebbero stati trasmessi in tv due anni dopo l'uscita. Abbiamo cominciato a lavorare con l'idea di fare dei film su scala Europea: che avrebbero avuto profitti dalla trasmissione nei vari paesi Europei. Un cambiamento epocale, per noi, è stata questa possibilità che ci è stata data di tenere bassi i costi di produzione con un buon livello di vendita in paesi come la Francia, L'Italia e la Spagna. Con i diritti delle trasmissioni televisive e della vendita delle videocassette abbiamo potuto pareggiare i bilanci ed avere un piccolo profitto per continuare a lavorare così.

SA: Secondo lei le produzioni internazionali possono allargare i confini della solidarietà?
KL: Forse potrebbero aiutare, ma non saprei...vedere determinati fenomeni in un altro paese, che poi sono simili a fenomeni che succedono nel proprio paese, potrebbe aiutare a vedere questi elementi in maniera più chiara. Se li vediamo nel nostro paese non abbiamo il sufficiente distacco per capirli.

SA: Che differenza c'è tra essere un regista commerciale ed uno impegnato?
KL: Tutto dipende da che cosa si vuole raccontare e come. Di solito non è commerciale parlare di persone che hanno molto poco, persone povere. Tutto dipende da quanto si voglia seriamente fare del cinema e se lo si vuole fare seriamente, bisogna raccontare qualcosa che è vero. Se, invece, si vuole semplicemente aumentare il bilancio di una banca, allora la situazione è completamente diversa.

SA: Lei ha dichiarato di non sentirsi isolato, nonostante sia un cineasta controcorrente...
KL: Quando dico di non sentirmi isolato, mi riferisco alle persone con cui collaboro, ai miei amici. Un esempio è proprio dall'ultimo film che abbiamo registrato a Los angeles dove abbiamo lavorato con una serie di addetti alle pulizie, persone che veramente pulivano gli uffici e che sono state molto calde ed accoglienti nei nostri confronti. Ci hanno dimostrato una grande umanità e senso dell'umorismo: questo è il tipo di supporto di cui parlo quando dico di non sentirmi isolato.

SA: Può parlarci del suo prossimo film?
KL: Sono un po' riluttante a parlarne perché mi sembra una caricatura di tutti i film che abbiamo fatto. Si tratta di un film sulle ferrovie, su un gruppo di operai che si occupano delle manutenzioni dei binari e parla un po' del modo in cui la vita di queste persone è cambiata non appena le ferrovie sono state privatizzate. Nonostante quello che si potrebbe pensare, è una commedia.

SA: Conosce e cosa ne pensa dei progetti, come MEDIA, a sostegno del cinema da parte della Comunità Europea?

KL: Anche noi ce ne siamo avvalsi per alcuni copioni, il problema di questo programma è che il cinema è visto come un’industria sul mercato. Gli interventi sono stati piccoli e sparsi, non si sono realmente concentrati sul modo di cambiare il cinema rendendolo una possibilità di scambio. Si dovrebbe per prima cosa affrontare il problema della proprietà dei cinema, creare una maggiore diversificazione, offrire una gamma più vasta di proposte. Sono convinto del fatto che dovremmo cercare di supportare quel tipo di produzione che si rivolge a film nella lingua originale dei paesi in cui vengono realizzati.Spesso mi sono trovato in situazioni in cui i registi, per esempio, fanno un appello accorato sulle identità culturali dei vari paesi e del cinema che lì viene fatto, per poi fare un film non in America, magari in Europa, ma in Americano, con la lingua Americana.Se vogliamo creare una grande videoteca di film in tante lingue ed arricchire il mondo del cinema con le nostre identità culturali, allora dobbiamo intervenire su una scala più vasta.

SA: Potrebbe segnalarci dei registi che apprezza?
KL: Sicuramente ci sono altri registi che apprezzo e che rispetto, ma forse non sono sufficientemente un cineasta per fare una lista, forse sono più a mio agio quando parlo di calcio...

 


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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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pen: Andrea Pintus

 
 
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