Il cielo sopra Palermo
Fare incontrare Daniele Ciprì e Franco Maresco con Succo Acido era doveroso, non solo perché entrambi figli di quella grande città a metà fra il sogno e la rassegnazione che è Palermo, ma perché i due registi sono riusciti, nel corso di oltre dieci anni, a creare un universo poetico, ad esplorare gli anfratti della disperazione umana con uno sguardo cinico e lucidissimo, ma capace al tempo stesso di esprimere affetto verso gli squinternati protagonisti dei propri film.
Il cielo sopra Palermo
Fare incontrare Daniele Ciprì e Franco Maresco con Succo Acido era doveroso, non solo perché entrambi figli di quella grande città a metà fra il sogno e la rassegnazione che è Palermo, ma perché i due registi sono riusciti, nel corso di oltre dieci anni, a creare un universo poetico, ad esplorare gli anfratti della disperazione umana con uno sguardo cinico e lucidissimo, ma capace al tempo stesso di esprimere affetto verso gli squinternati protagonisti dei propri film. Sin dalle prime incursioni di Cinico Tv (era il 1992) il loro stile è già definito: biancoenero, inquadrature fisse, ambientazione periferica (macerie, rifiuti, degrado: ma in questo caso la Sicilia fa da metonimia per l’Italia intera, quella più vera che a volte non vogliamo vedere), voce fuoricampo (è quella di Franco Maresco). Ci si affeziona subito ai personaggi, grazie a questi sketch brevi e surreali, non sense e a tratti parodistici: molti episodi di Cinico Tv ricalcano lo stile della "tv del dolore" , dell’inchiesta giornalistica in senso voyeur, ci mostrano lo squallore senza alcun filtro. Si è parlato molto di cinema coprofilo, a proposito di Ciprì e Maresco, ma trovare una definizione che racchiuda tutto il pathos dei loro film è impossibile: ogni lavoro è molto diverso dal precedente, nonostante il rigore stilistico che li accomuna: Lo zio di Brooklyn sembra avvicinarsi ad una dimensione narrativa e svela l’indole grottesca, allegorica dei due autori, oltre a confermare le caratteristiche sopra citate (tra cui quella importantissima dell’assenza di donne) mentre Totò che visse due volte si può definire un classico, un film diviso in tre parti che affronta il tema della religiosità dal punto di vista più basso che possiate immaginare. Ad una prima visione può sembrare semplicemente provocatorio, si tratta in realtà di un guardare l’estremo, l’osceno senza intenti morali, la celebrazione della miserie umana raffigurata attraverso i suoi bisogni primari (il cibo, il sesso) depravati /deprivati, una rappresentazione nichilista che in questo film raggiunge il massimo rigore formale. Così le opere successive rappresentano anche un viaggio nei generi: Enzo, domani a Palermo! E’ una sorta di docu-drama sulla storia di Enzo Castagna da lui stesso raccontata: si tratta di un impresario, un personaggio ambiguo colluso con la mafia, che possiede un’agenzia di pompe funebri e gestisce il giro delle comparse cinematografiche, una svolta effettuata da Ciprì e Maresco all’interno del proprio linguaggio filmico, così come i corti dedicati a grandi musicisti jazz (Steve Lacy, Duke Ellington, Miles Davis), genere del quale i due cineasti sono grandi appassionati. Un genere che li ispira durante le riprese, nel senso di improvvisazione sul copione, anche nell’ultimo Il ritorno di Cagliostro, dove restano memorabili le interpretazioni di Pietro Giordano nel doppio ruolo del cardinale Sucato e del regista Pino Grisanti, e del mitico Robert Englund nei panni di Erroll Douglas. Questo film era nato come un documentario ed è mutato completamente in qualcosa di più complesso: le sequenze a colori ambientate nel presente ricostruiscono la storia di una leggendaria, quanto immaginaria, "Trinacria Cinematografica" che negli anni Cinquanta avrebbe prodotto un kolossal sul conte Cagliostro. Il resto del film è dunque ambientato in quegli anni, racconta le peripezie dei fratelli registi La Marca, alle prese con improbabili incursioni nella fantascienza, nel melodramma e nel film religioso, con scarsi risultati, fino all’ardua realizzazione di un opera su Cagliostro, finanziata da un cardinale e altri loschi figuri. Molto altro ci sarebbe da dire, trattandosi di due autori assolutamente fondamentali per capire l’ultimo decennio, anche di storia italiana: la vergognosa censura subìta da Totò (venne accusato di blasfemia e ritirato dalle sale, comportando una serie di strascichi giudiziari per lungo tempo) sono la dimostrazione che l’arte può ancora ferire e soprattutto farci riflettere. Ci auguriamo che Ciprì e Maresco continuino a farlo, a ricordarci che ne abbiamo bisogno.
SA: "Il ritorno di Cagliostro" è stato un lavoro travagliato per voi, quanto è cambiato il film rispetto all’idea iniziale?
Franco Maresco: E’ molto cambiato, all’inizio il progetto era un tentativo di reazione rispetto a "Totò..", noi venivamo fuori da un periodo disastroso, e in occasione di un incontro al "Lubitsch" con Robert Englund, intervenuto ad una rassegna sui film dell’orrore, nacque una certa intesa grazie al suo interesse per i nostri film. Avevamo pensato ad un programma per la televisione addirittura, una via di mezzo tra documentario e fiction. Dopodiché si interruppero le riprese e riprendemmo solo dopo un anno, senza Robert, provando a finire il film. A quel punto però avvenne la rottura col nostro coproduttore, Rean Mazzone, proprio poco dopo il nostro debutto in teatro con "Palermo può attendere". Sulla scia dell’entusiasmo per questa nuova esperienza decidemmo di riprendere "Cagliostro", anche perché l’Istituto Luce aspettava del materiale, così il film si è trasformato radicalmente. Abbiamo coinvolto con noi Lillo Iacolino, che aveva lavorato al soggetto e alla sceneggiatura di "Totò.." e abbiamo finalmente ultimato "Il ritorno di Cagliostro".
SA: Quest’ultimo film mi è sembrato anche una sorta di omaggio alle origini del cinema, alla nascita dei generi, a quell’atmosfera pionieristica dei primi del ‘900…
FM: Purtroppo è un film che rischia di essere confuso con altri di tipo "cinefilo", non era questo l’intento, diciamo che l’intenzione era più fare qualcosa di autoterapeutico, di meno cupo per noi, alla fine nel film c’è anche quello che abbiamo fatto nei lavori precedenti, cioè una riflessione sulla crisi dell’arte, della vita… ma mimetizzato dietro questa comicità prorompente.
SA: Riguardo "Enzo, domani a Palermo!", come lo collochereste nella vostra filmografia? Mi sembra molto diverso da tutti gli altri.
FM: "Enzo.." è un film molto importante, segna anzitutto la reazione a "Totò…", a quel periodo negativo che era durato un paio d’anni; ci ha dato molta soddisfazione ed è stato un po’ una svolta per noi, ci siamo legati per molte ragioni.
SA: E sui documentari dedicati a Davis e Armstrong che mi dite? Ne farete altri? Pare ci sia un’impronta jazzofila anche in altri vostri lavori…
FM: Noi abbiamo sempre avuto un rapporto intenso col jazz, abbiamo cominciato a fare dei lavori per un’emittente privata, TVM, sempre accompagnati da musica jazz, sia classico che free. Posso dirti che sia i lavori su Steve Lacy che su Armstrong che su Miles Davis rappresentano un momento importante per noi, anche perché ci hanno permesso di occuparci di musica in maniera diversa dal solito e ci hanno consentito di sopravvivere economicamente. Tutto questo anche grazie a degli amici che lavoravano a Telepiù, mentre per quanto riguarda la diffusione, figurati, il jazz non ha nessuna patria…
SA: Tornando a "Totò…", tutte le volte che mi è capitato di vederlo in pubblico ha sempre suscitato delle reazioni forti, financo violente, vorrei chiedervi se al momento della lavorazione vi aspettavate un po’ il putiferio, al di là degli strascichi legali che ci sono stati.
FM: Sarebbe ipocrita risponderti che non ci aspettavamo nessuna reazione, ma certamente non così radicale anche da parte delle istituzioni. Né io né Daniele abbiamo pensato a quali potessero essere le reazioni del pubblico, abbiamo fatto sempre un cinema che venisse incontro a quello che sentivamo.
SA: Avete qualche ricordo positivo di quel periodo?
Daniele Ciprì: Assolutamente nulla, il problema è nato durante la lavorazione con il blocco del finanziamento, mentre la censura è avvenuta molto dopo, a montaggio ultimato; diciamo che quel film riflette un periodo abbastanza infelice, così come "Cinico tv" riflette un altro stato d’animo.
SA: In tutti i vostri film il vero protagonista sembra essere la periferia estrema, che è inequivocabilmente siciliana ma potrebbe essere benissimo un altro luogo, vorrei saperne di più sulla scelta dei luoghi nel momento in cui girate.
DC: Noi cerchiamo il non-luogo, da "Cinico tv" in poi abbiamo cercato di raccontare Palermo senza utilizzare immagini da cartolina, noi eravamo un po’ sperduti agli inizi, così abbiamo provato a giocare coi nostri attori, alla fine la Sicilia la senti nel linguaggio. Nei nostri film non deve esserci mai qualcosa che riporti al realismo, in "Cagliostro" abbiamo lavorato molto sugli interni, ad esempio.
SA: Farete altre esperienze teatrali dopo "Palermo può attendere"?
DC: Ci piacerebbe ripetere questo spettacolo, ma è molto costoso produttivamente, poiché c’è un’interazione fra gli schermi e gli attori e non tutti i teatri sono adatti, spero ci saranno altre occasioni. Pensa che abbiamo portato a Venezia le macerie di Poggioreale, in nave, e abbiamo preparato lo spettacolo in una settimana, siamo stati folli!
SA: Come va col vostro cineclub Lubitsch?
DC: Il Lubitsch è un cinema, noi non ci occupiamo della gestione, curiamo l’aspetto artistico, l’organizzazione delle rassegne ecc. per ora stiamo facendo l’ultimo film di Lars Von Trier, che io detesto, odio i danesi! Penso che sia un regista che prende per il culo la gente, e nessuno ha il coraggio di dirglielo perché è un intellettuale, fa un cinema orribile. Il Lubitsch è un cinema di periferia, quindi la situazione è un po’ complicata, inoltre a Palermo quando ci sono distanze da percorrere, anche dieci metri, per i palermitani è un viaggio.
SA: Quali sono i vostri progetti futuri?
DC: Il prossimo dovrebbe essere un documentario su Franco e Ciccio, che dovrebbe uscire per la Lucky Red, poi un lungometraggio, "La Madonna della Mercede", un vecchio progetto che abbiamo ripreso.
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