Andrea Adriatico, regista del film ‘Il vento, di sera’, che ha partecipato al 54°Festival del Cinema di Berlino e ha vinto il 1° premio ‘Rosa d’Oro’ al Festival Roseto Opera Prima 2004. Dopo aver debuttato in prima mondiale al 54mo Festival di Berlino, Il vento, di sera di Andrea Adriatico (2004) ha girato con successo in decine di festival in Europa, America e Australia, ed è stato distribuito in Germania e Italia, dove ha vinto il primo premio al Roseto Opera Prima Film Festival. Il film è interpretato da Corso Salani (che con questo film ha vinto il premio come miglior attore al Clorofilla Film Festival) e Francesca Mazza, affiancati, tra gli altri, da Fabio Valletta, Sergio Romano, Paolo Porto, con la partecipazione straordinaria di Giovanni Lindo Ferretti, Alessandro Fullin e Ivano Marescotti. Sceneggiatura di Stefano Casi e Andrea Adriatico; musiche di Roberto Passuti; fotografia di Gigi Martinucci.
SA: Perché ha deciso di legare la storia del protagonista, la sua perdita personale, alla morte di un importante uomo politico, alla recente politica italiana?
AA: Per affrontare il dolore della perdita nel privato trattando un fatto di aggressione sociale e civile, come quella terroristica. L’attentato rimane sullo sfondo, perché chiunque girando per la strada può imbattersi in un attentato terroristico: esattamente come succede a Luca e Paolo. La scelta di Biagi è stata una dedica motivata dallo situazione di solitudine in cui è stato ucciso questo personaggio pubblico, che stimavo profondamente, e dalla grande dignità dimostrata dalla vedova. Ma anche un modo per raccontare la società italiana di oggi attraverso le sue grandi ferite storiche.
SA: Il tema di fondo del film è quello delle unioni civili. Come mai la scelta di affrontarlo in maniera molto intimista e non magari mediante la lotta politica?
AA: Nel mio lavoro cerco di non dare risposte assolute, ma di porre delle questioni, di far nascere domande. Per questo ho cercato di non fare un film di denuncia, ma un film ma che sapesse raccontare (tra le altre cose) l’assurda legislazione italiana, che ci pone come fanalino di coda di un’Europa all’avanguardia sul tema delle copie di fatto. Di raccontare tutto questo attraverso una vicenda personale, appunto intima, che spesso non può contemplare una dimensione politica di denuncia pubblica.
SA: Perché il personaggio di Paolo non si ribella ma subisce l'atteggiamento ostile del medico, le parole senza anima del giornalista, tutto quanto gli capita?
AA:Paolo è sconvolto e incredulo per quello che gli è successo: per il modo in cui la sua vita è stata stravolta nel giro di poche ore. In questa situazione per lui a cavallo tra la realtà e l’incubo non riesce a esternare il suo sconforto, a lottare contro l’ingiustizia che subisce. Ma Paolo è anche il simbolo di un certo modo di affrontare il lutto, senza grandi esternazioni ma in modo del tutto personale ed intimista. Senza clamori ma con grande dignità.
SA: Può spiegare nella trama del film la figura di Momo, il ragazzo che il protagonista incontra per caso? Non crede che avalli i soliti luoghi comuni sugli incontri gay?
AA:L’incontro con Momo è una speranza. La speranza per Paolo di non dover sopportare il dolore della lacerazione, di poter ricominciare subito a vivere. Una speranza che ovviamente svanisce in fretta, che nasce all’interno di una notte che sconvolgerebbe le abitudini di chiunque. Penso che qualsiasi eterosessuale avrebbe potuto affrontare l’incontro con Momo alla stessa maniera in una notte così incomprensibile e assurda. Penso anche però che in certi casi gli incontri fra omosessuali possano essere più diretti e immediati rispetto a quelli fra eterosessuali.
SA: E’ la prima volta che tratta in un suo lavoro una tematica omosessuale?
AA:Non credo e non definirei il mio film a tematica omosessuale. Sono sinceramente stufo di immaginare che se un film parla di una esperienza umana debba inevitabilmente essere a tematica. Il mio è un film sull’assenza, sullo strappo, sulla fragilità del vivere. Questo è il tema. Chiunque può soffrire d’amore, soffrire perché si sveglia al mattino e quello che amava, la sua ragione di vita, non c’è più. Io credo che gli omosessuali siano persone che vivono accanto agli eterosessuali, che hanno le stesse possibilità di incontrarsi di soffrire, di gioire e di uscire fuori di casa, subire un terremoto interiore, e poterlo raccontare. Questa vera normalità dalla dimensione omosessuale è la cosa che ha davvero colpito e colpisce del mio film. E ciò che gli da senso, un senso vero.
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