Luca Dalisi (o Luk per gli amici) fa parte di quella schiera di giovani (si fa per dire…in Italia un artista quarantanovenne o un architetto cinquantenne sono comunque definiti “giovani”) disegnatori-fumettisti italiani che cercano di trovare il proprio spazio in un mercato asfittico e poco coraggioso come quello del fumetto nostrano.
Luca Dalisi (o Luk per gli amici) fa parte di quella schiera di giovani (si fa per dire…in Italia un artista quarantanovenne o un architetto cinquantenne sono comunque definiti “giovani”) disegnatori-fumettisti italiani che cercano di trovare il proprio spazio in un mercato asfittico e poco coraggioso come quello del fumetto nostrano. Lo differenzia da questa folla, tuttavia, il tratto del tutto slegato da facili imitazioni e calligrafismi nippo-americani e l’amore per un tipo di narrazione quasi sospesa nello stupore di ogni vignetta. Le radici del suo gusto si trovano nel fumetto di inizio Novecento, nel tratto semplice ed essenziale di cicli quali Bibì e Bibò, Krazy the Kat, Little Nemo e così via…niente di più fuori moda, dunque. E sappiamo quanto contino le mode in un paese così dipendente culturalmente come il nostro. I mondi gentili e sorridenti (con una punta di malinconia, talvolta) di Luca Dalisi, tuttavia, finiscono con il catturare chiunque ci si affacci in maniera ben più intensa e partecipata di tutte quelle epifanie a buon mercato di robot, eroi vari e svolazzanti e ragazzine dagli enormi occhi caprini che il marketing cerca affannosamente di propinarci.
Oltre a disegnare fumetti Luca Dalisi ha una solida carriera di illustratore, nella quale riempie di un colore allegro e giocoso le sue linee forti o appena sussurrate. Ha illustrato copertine e testi per le case editrici Cronopio, L’Isola dei ragazzi, Massa e per la rivista Chaosmos. Recentemente ha realizzato la controparte visiva (una pagina di testo – una tavola) de “Il Fermo Volere”, Edizioni d’If.
Il DaSilly presenta due tipi diversi di narrazione: quella sintetica e spesso senza parole della storia breve, resa in una o due tavole, e quella distesa e più cinematografica della storia lunga più pagine. Nelle brevi storie silenziose, in cui talvolta il particolare è messo in primo piano fino a divenire quasi gioco di linee fluide e volanti, ed in cui la narrazione scivola via fermando sulla carta brevi attimi, lasciando alla nostra fantasia il passaggio dal particolare all’intero o viceversa, risiede forse il fascino maggiore dell’opera di Luca Dalisi. È la sintesi ed il gentile buonumore del fumetto delle origini, delle strip di inizio Novecento che dovevano strapparci un sorriso in poche vignette.
Questo West atipico rifugge da tutti gli stereotipi, in particolare cinematografici, del genere. I duelli sono sempre di nervi (nessuno possiede armi! È così rifiutato uno degli oggetti maggiormente caratterizzanti e simbolici di questo universo); gli indiani sono buoni e pacifici, saggi osservatori delle bizzarrie occidentali; lo stesso protagonista spesso inizia o finisce la sua giornata in un pacifico sonno ristoratore (è una nota autobiografica). Il cielo, poi, è un vero e proprio silenzioso personaggio aggiuntivo che finisce con il trovare la sua voce e la sua espressione attraverso le nubi e gli astri che lo attraversano di continuo.
Il tratto tondeggiante si ingrossa, facendo passare tutto il pennello sulla carta, oppure si rende sottile ed impalpabile, preferendo sempre una linea espressionista e testimone dello stato d’animo dell’artista ad un tratto uniforme e meramente descrittivo. È un bianco e nero così pieno di sussurri e di narrativa liricità da non farci rimpiangere il colore. È la nostra immaginazione che, immergendoci in questo West abbastanza Far, finisce con il colorarlo come più ci piace.
SA: come nasce il personaggio di DaSilly Cowboy?LD: C'era questo fumetto, anzi questo racconto illustrato sul Corriere dei Piccoli (letto fino in tarda età), John John va nel West, o qualcosa del genere: mi piaceva il disegno semplice, i colori pastello ed un western che non era sparatorie e duelli ma mucche, praterie e tessuti di flanella. Poi è venuto Dead Man di Jim Jarmush.
SA: a chi ti sei ispirato per la sua ideazione e a che tipo di fumetto ti senti più vicino?LD: A tutt'oggi Dead Man è il mio film preferito; ancora un western, ma stavolta erano i tempi dilatati, i personaggi stralunati a suggestionarmi. Volevo farne un fumetto, e infatti il primo Da Silly Cowboy è in realtà un fantasma, un essere impalpabile che poi acquisisce corporeità nel corso della storia. La prima storia, tra l'altro, prende spunto da un fatto realmente accaduto: la rivolta delle popolazioni Mohawk in Canada contro la costruzione di un campo da golf sulle loro terre. Questi fatti avvenivano nel 1990, per cui DSC non è ambientato in un'epoca precisa.
SA: che ne pensi dei supereroi americani?LD: Oggi il mondo dei supereroi è una tradizione, le cui regole sono così salde da poter essere tranquillamente infrante e riscritte: è maturato, da intrattenimento puro è diventato un genere contenitore dove è possibile ogni discorso grafico e narrativo (dall'infimo al sommo); offre infinite possibilità, da cose sofisticate come Batman: Arkham Asylum alla paccottiglia d'un tempo: a me piacciono entrambe.
SA: e che ne pensi, invece, dei manga giapponesi?LD: Cosa sono?
SA: quest'invasione di cartoni animati degli ultimi trent'anni ha ampliato il movimento del fumetto in Italia?LD: Mah, ricordo una vera invasione venti-trenta anni fa, appunto; ora sono diventati stanziali. Credo che non facciano bene al fumetto perché spingono soprattutto all'imitazione, che inevitabilmente limita la fantasia. Quand'ero piccolo non facevo che disegnare robots dei vari cartoni giapponesi e poi ci sono voluti anni e fatica per sbarazzarmi di quegli stereotipi.
SA: nel passaggio dalla vignetta statica all'animazione cosa si perde e cosa si guadagna?LD: In realtà non penso mai al disegno fumettistico come a qualcosa di statico. Anzi il fumetto, il disegno del fumetto (rispetto per esempio all'illustrazione o alla pittura) è caratterizzato proprio dal movimento; si potrebbe fare uno studio sul fumetto soltanto guardando come i vari autori hanno trattato il movimento. Poi c'è il movimento dell'occhio del lettore rispetto alle sequenze sulla tavola: se abbiamo delle sequenze, delle linee temporali, allora c'è anche necessariamente il movimento. Detto questo, credo poco alle trasposizioni in generale. Come da un grande romanzo raramente viene tratto un grande film, così le grandi animazioni sono quasi sempre opere originali (ed il percorso inverso è anche peggio, molto peggio: prendete un qualsiasi fumetto tratto da un film). Il fumettista che fosse attratto dall'immagine animata dovrebbe pensare a qualcosa di nuovo, non semplicemente a tradurre la sua opera in un altro linguaggio. Ogni lingua ha la sua letteratura, anzi è la letteratura che fa la lingua.
Perciò, se mi chiedi "cosa si perde e cosa si guadagna" ti dirò che ogni perdita è un guadagno di nuove possibilità (salvo naturalmente alcuni casi spiacevoli sui quali sorvoliamo).
SA: ti piacciono i film animati della Disney, della Pixar o quelli giapponesi? Quali preferisci? E il 3d rappresenta l'inevitabile futuro dell'animazione?LD: Conosco poco l'animazione, e quasi sempre mi piace moltissimo o mi fa schifo. Non si trovano vie di mezzo. I lavori della Pixar oggi mi sembrano i più riusciti, perché hanno sempre un'ottima idea di fondo, mentre la Disney sembra veramente a corto di idee: andare addirittura a ripescare Bambi. Sono nostalgicamente affezionato ai vecchi disegni animati (sembra quasi di sentire l'odore della carta come un buon vecchio fumetto), ma riproporli oggi senza invenzioni grafiche non ha molto senso; il 3D è già il presente, ma non credo che cancellerà le altre tecniche, i disegni a mano ecc. Alcune cose in 3D sono così belle che sembrano in 2D!
SA: ti piacerebbe realizzare dei medio-lungometraggi animati? In che tecnica? Hai qualcosa in cantiere?LD: "Medio-lungometraggio" è una parola grossa (19 lettere), mi accontenterei anche di animare un omino che cammina per 3 secondi su uno sfondo in tinta piatta, ma la vedo dura. Comunque sto pensando ad una animazione che ha per protagonista un polipetto extraterrestre che verrà realizzata tra alcuni decenni.
SA: consigli per gli acquisti: qualche personaggio/ciclo/autore del mondo dei fumetti che hai amato particolarmenteLD: George Herriman e Winsor McCay ieri, Ben Katchor e Chris Ware oggi sono irrinunciabili, ti aprono nuovi mondi e ti spingono a lavorare sodo per poter acquistare i loro libri.
SA: quali sono le difficoltà di un giovane disegnatore che vuole proporre il suo lavoro?LD: Non saprei, è da tempo che non sono più giovane e non ho mai proposto un lavoro.
SA: ci parli un po' dei tuoi lavori precedenti?LD: C'era il Fa, questa creatura (pesce-rana-scimmia con occhiali da aviatore), priva di dimensioni vagante nello spazio che MANGIA tutto ciò che trova, fino ad ingoiare interi pianeti; poi c'è l'Elefarfalla, creatura impalpabile ed evanescente, poi i Cani della palude, che danzano e bevono vino rotolandosi nel fango. Cose così, insomma.
SA: che storie o personaggi hai in cantiere?LD: Un omino che è una sorta di prototipo base dell'elemento umano nelle costruzioni meccaniche o teoriche: è il pedone nel gioco degli scacchi, il giocatore negli sport di squadra, il pupazzetto dei Lego: muta a seconda dell'abito che indossa, muta costantemente. Non ho idee per il titolo.
SA: a quando le prossime storie di DaSilly?LD: Di recente ho ripreso una vecchia storia mai conclusa, "Nel Bar", un bel western bianco e nero a china, in formato vecchia striscia 8 x 16, vedremo.
(Luca Dalisi - DaSilly Cowboy, ed. Le Nuvole, 2005. Introduzione di Sergio Nazzaro)
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