1.
Occhi bassi. Attenzione a non alzare lo sguardo. Tommaso Lupino stava tornando a casa, cercando di non incappare in qualche contravvenzione. Camminava sulla parte gialla del marciapiede, cercando di non distrarsi. “Buongiorno signor Tommaso!”…cosa faccio? Mi sembra che sia il salumiere…uno sguardo con la coda dell’occhio…sì, sì, siamo nei pressi della salumeria, sarà lui…Tommaso sbirciò un attimo, il meno possibile, e, rinfrancato, riconobbe Amedeo Scassalavecchia, famigerato rivenditore di mortadelle ingiallite e prosciutti di Parma fatti in Albania e poi rimarchiati, come gli permetteva una antica e regolare licenza rilasciata dalla sezione malcomunale della ndrangheta di Pizzo Calabro. Eh, sì, il padre dello Scassalavecchia era di origini calabresi. O, meglio, si spacciava per calabrese purosangue, essendo, in verità, di Gnomone, provincia di Bergamo. “Buongiorno, buongiorno!...” rispose calorosamente Tommaso, chinando più volte il capo, “…buongiorno!”. Alzato però impercettibilmente lo sguardo il sangue si rapprese, ghiaccio, nelle vene del Lupino. Un agente si stava avvicinando con fare innervosito.
“Signor Amedeo…sì, sì, salutiamo…avete iniziato voi la conversazione? O il signore qua ha fatto da sé?”. Il Lupino strinse ancor di più la testa fra le spalle, terrorizzato all’idea di una multa per innalzamento di sguardo oltre la linea dell’orizzonte (Gazz. Uff. n.305, art. 12, comma 31, sottopar. 5, cr. 9, pcd. 11, mm. 2). “E poi state anche calpestando il suolo non pubblico…non va bene, non va bene…lo sapete che dovete pagare il tazzo” (orrendo neologismo, fusione di “tassa” e “pizzo”. I più colti dicevano tassente o tantassa). Pur avendo lo sguardo inchiodato per terra la sua attenzione, volta al mondo circostante, in alto, sopra l’orizzonte, lo aveva tradito. Con sgomento notò che la parte esterna della suola sinistra calpestava la parte grigia del marciapiede. “Ma che fate? Camminate con la testa tra le nuvole? Agente, sia buono, il signor Tommaso stava entrando a comprare un po’ dei miei celeberrimi salumi, non ostacoli un buon affare…”. La pelle d’oca. Era una vera e propria aggressione. Per lui che non era iscritto né alla lega mafiosa locale né all’unione camorristica né tantomeno alla sacra corona (la sede provinciale della ndrangheta era chiusa per rinnovamento, dopo l‘incendio di fine mese. Non se la passavano bene e avevano deciso di riaprire dopo l’incendio del mese prossimo, per risparmiare) il rifiuto era impossibile. “E vabbene…sarò clemente, chiuderò due occhi…Da tariffario mi deve una concussione del 20%”. “Ma certamente!”, escalmò lo Scassalavecchia, quasi che qualcuno potesse pensare che lui fosse diversamente onesto. Il Lupino, angosciato, cercava di intravvedere l’entità del pizzo. Lui avrebbe pagato cinque volte tanto per della mortadella che, l’ultima volta, aveva sterminato tutti i gatti del suo cortile. La cifra era cospicua. Ma si aspettava di peggio. San Crispino, Patrono del Pizzino lo aveva aiutato.
Entrando nel suo palazzo da una finestra dell’androne, per risparmiare sul pizzo al portiere, il Lupino si vide venire incontro un gruppetto di gatti della zona. Intuito il pericolo cercò subito di scappare verso le scale, correndo ovviamente sulle strisce gialle, quando uno dei mici, sentito l’odore della mortadella assassina, gli si lanciò addosso. In un attimo fu ricoperto di felini furiosi desiderosi di punire chiunque avesse a che fare con quella sostanza letale e gatticida.
Malconcio e dolorante il Lupino ritirò la sua chiave di casa dal Boss del pianerottolo e, finalmente, si accasciò sul letto, sbattendo però la testa sul calcio di uno dei fucili che, da contratto, doveva nascondere a casa. Aveva chiesto il permesso al Boss del Palazzo di poter custodire delle cose più comode, magari sotto il divano, ma la sua richiesta era ferma da mesi al MalComune. La Commissione per le Pratiche Mafiose non si era ancora riunita. Eppure erano passati già tre anni dal suo insediamento. Forse si sarebbe potuto sperare prima delle elezioni. La stanchezza e la tensione, insieme alla commozione (cerebrale) fecero il resto. Tommaso Lupino sprofondò in un sonno irrequieto, popolato di felini e prosciutti albanesi.
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