Non provo nessuna fede, ma ho ammirato le vite degli uomini che hanno mantenuto le promesse fatte in loro gioventù. A queste vite ho creduto" da Aceto, arcobaleno.
Erri De Luca ci spiazza. Ci spiazza perché è lucido, ha un’apparenza ascetica, scrive con lingua poetica, da anni frequenta i testi sacri traducendoli, ma dichiarandosi non credente. In questo senso potremmo definirlo un residuale, un fuori dalla storia. Nell’età dello sproloquio e della divagazione, ci costringe alla definizione, alla precisione e soprattutto al confronto serrato. La sua scrittura evoca l’andamento delle riflessioni analitiche. Allo stesso tempo è frammentaria: non è un caso che Benjamin spesso compaia, citato, estrapolato, come riferimento implicito; ho conosciuto molti che di Benjamin fanno incetta, ma mai nessuno che l’abbia veramente letto. È un po’ come la pratica divinatoria in uso nel medioevo sui testi di Virgilio: si apriva una pagina al posto dell’oroscopo e si indovinava il proprio futuro. Walter Benjamin ha fatto un po’ la stessa fine: sono convinta che De Luca l’abbia veramente letto.
Ci spiazza anche perché, pur essendo un intellettuale fuori dal coro, continua a confrontarsi con le storie, ma anche ad entrarci nella Storia, per vederne le storie plurali, andando ad esempio come volontario in Bosnia o in Tanzania. Senza però farne sperpero di parole. Di questo noi lo ringraziamo: della sua disponibilità all’essenzialità.
Egli potrebbe essere definito, rubando un suo neologismo, un intellettuale "davarista": davar in lingua ebraica combina in sé due significati, parola e cosa. Egli si trova nella dura prova di stringere, allo stesso lembo di esistenza, parola e cosa.
L’abbiamo intervistato in occasione della rassegna La parola immaginata, organizzata a San Lazzaro di Savena in Provincia di Bologna, dove ogni anno si ripropone un interessante esperimento di contaminazione tra scrittura, musica e immagini.
SA: Sei stato invitato a La Parola Immaginata. Si tratta di un incontro con il pubblico, in cui c’è chi legge e c’è chi ascolta, direttamente, senza la mediazione del libro. Come ci si sente in questo contesto?
EDL: Per chi scrive racconti l’inizio di tutto è la distanza. C’è chi legge dall’altra parte, lo si immagina. Ci si tiene compagnia con una specie di lettera, che il lettore terrà un giorno tra le mani. Però c’è la distanza come elemento funzionale. Per me funziona così. Leggere davanti alle persone è diverso, presuppone un avvicinamento. In queste situazioni io comunque cerco sempre di mantenere la distanza. Di fare come se la situazione non fosse quella.
SA: Tu sei uno scrittore, ma una larga parte della tua produzione e della tua riflessione è legata alla pratica della traduzione dell’Antico Testamento. Nella pratica dura del rendere una lingua antica in una contemporanea dove si colloca lo scrittore?
EDL: Nel caso del testo sacro la distanza è massima, anche dal testo originale. Esso è remotissimo, intangibile quasi. In questo lavoro compio un allontanamento, per spostarmi il più possibile. Mi sposto verso quel confine remoto in cui è stata fermata la scrittura, che rimane lontana nel tempo e nello spazio.
SA: Un’altra importante parte della tua produzione sono i testi che presenti sulla carta stampata in forma di riflessioni o note che nascono da episodi o semplicemente da parole. Sono testi a volte didascalici, sempre molto densi e sintetici. Questo tipo di lavoro che forma ha?
EDL: Innanzitutto questi testi nascono da una commissione. C’è insomma chi me li chiede. Questo tipo di situazione mi permette di raggiungere un pensiero che prima non avevo. Mi accosto a questo pensiero che prende forma nel momento in cui si attiva la scrittura. All’inizio ho soltanto un sentimento e poi la scrittura mi permette di fare un salto e chiarire a me stesso, in primis, la forma di un pensiero. È un procedimento euristico.
SA: Erri de Luca è stato un uomo molto vicino alla politica, in passato. È un elemento ineliminabile della tua biografia. E adesso?
EDL: Sono un estraneo rispetto alla politica. Anzi, la politica è estranea a se stessa. È diventata una mera branca dell’economia.
SA: Non ho letto il tuo ultimo libro, quindi non parliamone, anche se è un libro di successo editoriale. Ma ho amato molto Aceto, arcobaleno. Ogni libro ha la storia del suo parto: come è nato questo?
EDL: Aceto, arcobaleno è la storia che mi ha tenuto più a lungo compagnia. Quando avevo trent’anni procedevo in questo modo: avevo una storia e la lasciavo lì, per un po’. Poi la ricopiavo. Questa è la storia che ho ricopiato più volte, che mi sono portato con me per più tempo. Nel corso di questo tempo alcune cose sono cambiate: ad esempio, la figura del missionario è stata aggiunta dopo la mia permanenza in Tanzania come volontario. Ho consegnato la storia quando avevo già pubblicato altri libri, ma credo che sia la storia in cui mi sono versato di più.
Bibliografia minima:
Il contrario di uno — Feltrinelli; Una nuvola come tappeto — Feltrinelli; In alto a sinistra — Feltrinelli; Pianoterra — Quodlibet; Aceto, arcobaleno — Feltrinelli; Non ora, non qui — Feltrinelli; Un papavero rosso all’occhiello senza coglierne il fiore — Interattiva Collana Gallo Forcello; Kohélet/ Ecclesiaste — Feltrinelli; Ionà/Giona — Feltrinelli; Esodo/Nomi — Feltrinelli
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