s.t. foto libreria galleria ospita da domenica 19 aprile fino al 14 giugno 2009 la mostra An Occasional Dream. Immagini singolari di fotografi anonimi, a cura di Matteo Di Castro. Il titolo del progetto è preso in prestito da un brano David Bowie della fine degli anni sessanta, inserito poi nell’album Space Oddity: una canzone d’amore in cui la fotografia viene evocata come un oggetto familiare ma dalle potenzialità perturbanti, se non esplosive:
In my madness I see your face in mine I keep a photograph It burns my wall with time
Protagoniste della mostra sono appunto delle immagini-oggetto, una serie di istantanee di piccolo formato, realizzate nel secolo scorso, senza intendimenti professionali o artistici, da fotografi anonimi e destinati a rimanere tali: fotografie occasionali. Le occasioni sono quelle offerte dal tempo libero, che proprio nel Novecento va definendosi come tale in opposizione alle regole e ai ritmi della società industriale. Il tempo sottratto al lavoro è quello della vita domestica e degli affetti familiari, delle gite, dei viaggi e delle vacanze, dello sport, delle curiosità improduttive e delle passioni private. La macchina fotografica -man mano che gli apparecchi diventano più leggeri e di facile utilizzo- diviene non solo lo strumento privilegiato per documentare i diversi scenari e rituali del tempo libero, ma essa stessa una nuova straordinaria occasione di nutrimento dell'immaginario liberato dalle logiche della produttività sociale. An Occasional Dream non propone tuttavia una visione panoramica e analitica della fotografia extra-professionale del secolo scorso. La mostra nasce come primo esito espositivo di un progetto di ricerca che s.t. foto libreria galleria ha già avviato con continuità, evocandolo nel nome stesso di questo spazio, aperto a Roma nel 2007: raccogliere immagini anonime, fotografie senza titolo (s.t.) e valorizzarle nella loro individualità, a partire dalla sensibilità estetica contemporanea. L’interesse per le immagini trovate, senza una acclarata paternità, non è certo una novità nella nostra cultura artistica. Le avanguardie del Novecento –surrealismo e dada soprattutto- avevano già eletto l’objet trouvé non solo a inedita musa della ricerca estetica, ma a metafora stessa dell’opera d’arte. In ambito fotografico, l’attenzione verso questo genere di immagini è invece relativamente recente. E’ stato Roland Barthes, trent'anni fa anni fa, nel suo celebre saggio La camera chiara, a sostenere che il protagonista più autentico della pratica della fotografia non è l’artista, o il professionista, ma il dilettante. All’epoca però, –quando la cultura fotografica era ancora impegnata a legittimare l’autonomia estetica del medium rispetto ad altri linguaggi- l’idea di studiare quest’ultima a partire dalle sue implicazioni emotive, affettive (il piacere dello scatto, la fatica della posa, il piacere della lettura dell’immagine), non poteva che apparire fuorviante, controproducente. Con lo sviluppo del digitale e di internet, la pratica amatoriale della fotografia ha assunto un nuovo straordinario impulso, rendendo per molti versi più labile il confine tra l'esperienza del dilettante e quella del fotografo vero e proprio. Parallelamente, nell’ultimo decennio, si sono moltiplicati gli eventi espositivi e le pubblicazioni che hanno inteso rileggere le foto dei dilettanti del secolo scorso, l’universo simbolico dell’istantanea di matrice anonima, proprio attraverso un confronto, più o meno esplicito, con la ricerca estetica della fotografia contemporanea. Negli Stati Uniti -ma anche in Francia, Germania, Olanda…- i progetti su quella che viene chiamata vernacular o found photography, hanno ormai superato la fase della riscoperta di un genere secondario, per puntare alla valorizzazione delle singole opere riconducibili a tale ambito di produzione. In Italia, viceversa, le ricerche sulla fotografia extra-professionale del passato -ad esempio sulle foto e gli album di famiglia- sono state condotte soprattutto con obiettivi di ricostruzione storico-sociologica, o comunque di documentazione. An Occasional Dream è probabilmente il primo evento espositivo, nel nostro Paese, che -a partire da una collezione privata- propone una rassegna volutamente selettiva di foto trovate del Novecento: una quarantina di immagini singolari. Per un verso ciò che le caratterizza è proprio quel non so che di curioso, affascinante, enigmatico, che le foto del passato rivelano indipendentemente dal soggetto rappresentato, o dalle intenzioni di chi le ha realizzate. La singolarità, in tal senso, è un valore difficilmente definibile e tuttavia lampante: è lo scarto della realtà rispetto alla sua forma codificata, è l'emozione che anche il più minimo elemento interno all'immagine può suscitare in chi la osserva. Barthes chiamava punctum questo supplemento di senso che è possibile rintracciare nelle fotografie che più ci emozionano. Ma se il punctum è una qualità virtualmente presente in ogni foto, non è forse un caso che essa si offra a colpo d'occhio nel caso di un'immagine nata al di fuori di un riconoscibile progetto professionale e/o artistico. E' proprio infatti di fronte a una foto prodotta in maniera occasionale -in circostanze fortuite e comunque ignote, senza una riconoscibile intenzionalità estetica o competenza tecnica, anzi proprio grazie a un effetto non voluto o ingenuamente esibito- che il punctum si attiva nella sua forma più esemplare: come una riserva di significati irriducibile a qualunque tentativo di fissare le fotografie. La singolarità della foto anonima si rivela dunque anche nei termini della sua unicità. Unicità dello scatto, del momento decisivo, tanto più riconoscibile come tale in quanto appunto prodotto in maniera del tutto estemporanea, accidentale; e unicità, ancor più paradossale, dell'opera: l'istantanea che, pur potenzialmente riproducibile in vari formati e in infinite repliche, viene recepita come un esemplare unico da chi si imbatte nella sua più comune forma di vita: quella stampa originale di minime dimensioni, realizzata dai laboratori fotografici dell’epoca, su carte ormai desuete, che viene conservata in casa, nelle scatole, negli album, fino a quando, fatalmente, finisce abbandonata, dispersa, gettata tra i rifiuti e infine ritrovata altrove.
In occasione della mostra, verrà prodotto un volume-catalogo in edizione limitata, abbinato alla ristampa di una delle foto esposte. Sugli scaffali di s.t. foto libreria saranno inoltre presenti diversi volumi sulle fotografie trovate, pubblicati negli ultimi anni in ambito internazionale.
Link della mostra: http://www.stsenzatitolo.it/content/occasional-dream-immagini-singolari-fotografi-anonimi
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