Nella mostra alla Galleria San Carlo, Vanna Nicolotti espone alcuni esempi delle ricerche degli anni Settanta, le Strutture mandala, che si rifanno alla tradizione orientale dell’immagine astratta e contemplativa: sono oggetti meditativi, “trappole” per lo sguardo. Dai Mandala alle Porte, nelle quali il dipinto si fa chiaramente apertura su uno spazio altro, soglie, dispositivo per una pratica yoga, architettura astratta.
Vanna Nicolotti inizia a operare negli anni Sessanta a Milano, nel segno della rivoluzione spazialista iniziata da Lucio Fontana. Progressivamente libera l’opera da ogni segno superfluo fino a giungere al monocromo e sovrappone più tele intagliate a creare quadri-oggetto, che non sono più rappresentazioni, ma zone potenziate dello spazio stesso. Come Paolo Scheggi o Dadamaino, anche Vanna Nicolotti lavora sul concetto di taglio, come modo di attraversare la tela verso mondi altri. “Gli oggetti di Vanna Nicolotti sono oggetti critici che ci costringono a combattere l’automatismo e i riflessi a tic della visione. (…) Il fascino dell’intero percorso sta nel mistero inerente a ogni oggetto, trappola per la visione, apertura spalancata verso l’oltre delle cose.” Così scriveva il grande critico Pierre Restany nel 1971 a proposito del lavoro della Nicolotti. Nella mostra alla Galleria San Carlo, Vanna Nicolotti espone alcuni esempi delle ricerche degli anni Settanta, le Strutture mandala, che si rifanno alla tradizione orientale dell’immagine astratta e contemplativa: sono oggetti meditativi, “trappole” per lo sguardo. Dai Mandala alle Porte, nelle quali il dipinto si fa chiaramente apertura su uno spazio altro, soglie, dispositivo per una pratica yoga, architettura astratta.
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