L’architettura italiana versa in un stato generale di crisi: la politica si inserisce prepotentemente nella filiera; la meritocrazia è scarsamente premiata; la progettualità non è abbastanza tenuta in considerazione dal sistema. Con il nuovo ciclo di opere dal titolo Progetti bruciati Baran esprime questo disagio personale e professionale mediante la mise en abyme dei suoi progetti su carta. La denuncia parte dalla vicenda autobiografica e diventa urgenza di condivisione: ne esce una versione anticonformista e coraggiosa, partendo dalla profonda e sofferta riflessione sullo stato di salute dell'architettura contemporanea italiana. I Progetti bruciati ricordano i lacerti di tanti affreschi salvati da Baran durante la sua attività di architetto nei vari restauri di edifici storici; sono i cruciali e preziosi frammenti della cultura italiana sui quali affondare le radici per una rinascita collettiva. Taluni hanno le sembianze di antiche mappe geografiche o di isole emerse, in cui i bordi consumati assomigliano a lembi di terra che si affacciano sul mare. L'intero percorso espositivo all’interno del Septem Maria Museum può essere paragonato alla mappatura di un cambiamento radicale e praticabile, che prende vita dalle macerie culturali e storiche della nostra civiltà per sopravvivere alla mediocrità generalizzata. La ricerca di Baran parte dal principio secondo cui il progetto è l’espressione di un articolato concetto, frutto di un'analisi profonda della storia, dei luoghi e del paesaggio, interpretati mediante forme e materiali. Da qui l’artista preleva i propri progetti e li rende vitali attraverso i principi fondatori dell’architettura vitruviana: l'aria, la terra, il fuoco e l'acqua. In pratica, l’elaborato progettuale è ossidato all’aria, strisciato a terra, bruciato dal fuoco e spento dall’acqua. Il risultato finale è costituito dai brandelli di un progetto deturpato dall’azione dell’artista e dai fenomeni naturali primari per i quali era stato pensato. Dall’interpolazione materiale il progetto bruciato passa al vaglio della tela bianca, simbolo del vuoto generato dalla società contemporanea, in cui i progetti sono relegati ai margini, confinati nel non luogo dell'oblio per impedire alla creatività di spingersi più in alto, di osare, di giocare a dadi con l'universo. In questo procedimento creativo, Baran si confronta con la transitorietà del suo tempo e i Progetti bruciati ne riflettono la fugacità fisica e concettuale: la carta invecchia per effetto della luce e dell’aria, parimenti ad un’architettura esposta alle intemperie e al deperimento dei materiali. Per la mostra personale presso il Septem Maria Museum l’artista creerà un’installazione site specific in dialogo con gli spazi dell’ex idrovora.
Baran nasce a Venezia nel 1964. nel 1992 si laurea in Architettura presso la Facoltà IUAV di Venezia. Il ventennio dedicato alla professione lo conduce a maturare un’architettura artigianale fatta di dettagli, matericità ed equilibrio; progetta nuove architetture tra ville, alberghi, teatri, residence, impianti sportivi. Si occupa anche di restauro monumentale, approfondendo tematiche storiche e archeologiche. Nel 2011 si ritira nella campagna ferrarese e decide di cambiare rotta: rendere pubblica la sua espressione intellettuale e culturale, la sua arte, personale ed intimista, che era rimasta latente dietro il mestiere palladiano. Dopo lunghe ricerche ed elaborazioni nel campo della pittura e della scultura concettuale, Baran riflette sulla sua professione di architetto e decide di parlarne con “Progetti Bruciati” e “Progetti scavati ai margini del mondo”. Nel 2013 le sue opere iniziano ad essere esposte presso importanti fiere e gallerie con buoni riscontri di critica e pubblico, in particolare a Roma, Padova, Vienna e Budapest. Nel 2014 espone con successo a Londra. |