SATURA art gallery associazione culturale - centro per la promozione e la diffusione delle arti Piazza Stella 5/1, Genova 16123 tel. 010.246.82.84 / cell. 338.291.62.43 E-mail: info@satura.it www.satura.it www.facebook.com/satura.genova
Sabato 22 novembre 2014 ore 17:00 Palazzo Stella - inaugurazione
Le mostre resteranno aperte fino al 6 dicembre 2014 da martedì a sabato ore 15:30 – 19:00
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"LA MEMORIA DELL'ACQUA" mostra personale di Luca Paramidani a cura di Flavia Motolese
Captazione di natura, esercitata con uno sguardo personale, intrecciando una restituzione fotografica che sia la risultante di un'introiezione totale verso ciò che si osserva. Quello che con altri termini si può descrivere in un sostanziale “animare le immagini”, mossa che richiede spesso ad un artista visivo - e in particolare ad un fotografo - di chiamarsi a gravitare all'interno di una persistente conduzione in asse tra individualismo e collettivismo. E come un perfetto deus ex machina dell'istantanea arriva Luca Paramidani, lui che s'infila in questo pensiero meta-figurativo con massima linearità fotografica, piegando all'interno di soluzioni scenograficamente uniche nel loro genere - e con tutta la sincerità del caso - uno degli elementi più caratterizzanti a livello planetario: l'acqua. Acqua rimessa a sostanza versatile che passa dall'ornamentalità più flessuosa ad una rigidezza perfettamente specchiante, scatto dopo scatto destinata a riappropriarsi di una verve oltre ogni aspettativa, effetto ultimo di rigenerazioni simbolico-fotografiche in armonia con la sua pura spettacolarizzazione. Acqua invasiva, che definisce il proprio spazio lasciando segno sulla presenza comprimaria - ma nemmeno poi troppo - di rocce levigate da uno scorrere continuo; acqua che ingloba la vegetazione sparuta, moltiplicandola in una sorta di ristretto schema iconico compreso entro un molto più vasto - virtualmente infinito - sistema di percezione ottica, ricalcato da Paramidani in assenza di rifermenti che possano instradare lo sviluppo visivo. Riflessi smaglianti e modulazioni chiaroscurali giocate sull'onda della mobilità tra scarti netto-precisi e morbido-soffusi; monocromi spugnoso-blu alla Yves Klein, più che rivisti in chiave fotografica tout court adattati all'icasticità di silhouette materico-affilate, tra ombre e riflessi dosati apposta per smuovere in senso prontamente ritmico un impianto visivo totalizzante, ma anche ineluttabile secondo la logica di Paramidani. (testo di Andrea Rossetti)
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“ARMONIE DI TERRA – CERAMICHE CONTEMPORANEE” mostra personale di Simona Bellini e Daniela Carrara a cura di Marta Marin
Attraverso la tradizionale tecnica della ceramica pit fire dei nativi americani, Simona Bellini rievoca lo spirito ancestrale della terra, dando calore e lucentezza al materiale grezzo. Il contrasto tra il nero e le naturali dorature dell’oggetto. Le forme umili diventano particelle della preghiera cantata che connette l’Uomo al Cielo. Questo processo inserisce l’individuo in un contesto specifico recuperando i frammenti della memoria personale e collettiva grazie a un sistema di segni onirici che si allontanano dalla geometria frattale per sfiorare il fantastico: il fuoco fonde la nostalgia del passato e la visione del futuro. Allo stesso modo, i moderni artisti giapponesi rivalutano l’importanza delle piccole cose collocandole in contesti inaspettati, che così acquisiscono un significato metaforico. Le sfere di Daniela Carrara si assemblano in agglomerati che ricordano le nidiate dei ragni, i bozzoli dei bachi da seta o forse le uova cotte dal vapore delle terme nipponiche. Tuttavia, si tratta di spostarsi a un livello superiore, prendendo coscienza degli elementi inquietanti che minano i principi dell’apparente armonia e si annidano in ogni angolo della nostra giornata. Questa estrema semplificazione corrisponde per antitesi all’accumulo di referenti culturali della “Strange Forest” o del “Oval Buddha Silver” di Takashi Murakami e alla ridondanza Hiroyuki Takei. Nell’eccesso dei suoi personaggi, il fumettista sembra aver ripreso l’idea fondamentale dello stile superflat cavalcando anche l’onda di quanti ipotizzano un intervento alieno nella nascita della civiltà Hopi del Sud-Ovest statunitense; pur rinunciando al carattere poliedrico della post-modernità, le due scultrici svizzere, coniugano il naturalismo e il sogno avveniristico in un percorso iniziatico di matrice psichedelica. (testo di Elena Colombo)
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“L’ECCENTRICA VISIONE” mostra personale di Stefano Grondona a cura di Mario Napoli
“Il mondo è diventato una stanza rumorosa. Il silenzio è diventato il luogo magico in cui si realizza il processo creativo”, ha detto David Lynch, uno degli eroi di Stefano Grondona. E il silenzio, appunto, il silenzio degli ambienti e degli oggetti, dominava il suo primo mondo fantastico, le wunderkammern che, alla metà degli anni ’80, hanno segnato la sua comparsa sulla scena dell’arte. Erano stanze raffigurate in prospettive appiattite, tese quasi sul punto di precipitare, popolate di radio mute, di pavimenti minuziosamente decorati, spazio costruiti attorno al vuoto, all’immobilità, all’assenza. Dietro parvenze che accennano all’Art Decò o al design postmoderno di Memphis, si celavano citazioni da Eraserhead (Lynch, ancora), a Munch, e a Bacon nell’assetto distorto del campo visivo. Il procedimento, complesso e raffinato, di cui allora Grondona si valeva, era basato sulla realizzazione – a partire dal disegno – di una serie di mascherine utilizzate per impressionare direttamente, con brevi esposizioni alla luce, una particolare carta fotografica. L’uscita dalla produzione di questo materiale ha portato l’artista a sviluppare una diversa modalità compositiva, peraltro già coltivata in precedenza: la costruzione di lavori tridimensionali, nei quali la sequenza delle mascherine – non più impiegate in via strumentale – si dispone su una pluralità di piani a creare una profondità di campo, dando sfogo, nella conseguita autonomia, ad un coordinato gioco di alternanze cromatiche ed alla flessuosità irruente del tratto. Le nuove opere esposte da Satura – precedute da cicli magistrali dedicati all’universo cinematografico, prima fonte d’ispirazione per l’artista, tra i quali va fatta menzione almeno del lavoro condotto sulla Passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer – si incentrano su tre nuclei tematici principali. L’immagine d’impronta religiosa, anzitutto, rappresentata attraverso la figura di Cristo, colta – al di là dell’esplosione di colore che la pervade senza dissacrarla - in atteggiamenti di sofferenza (implorante, sconsolato, tragico, triste), cui si affiancano due Madonne col Bambino, serrato convulsamente fra dita acuminate. Quindi la suggestione fosca dei racconti di Edgar Allan Poe, nella serie delle Scene dell’Apocalisse. Infine le quinte della Naked city di burroughsiana memoria, costellate di case, di macchine e di animali randagi, sormontate da un onnipresente “lampioncino ignobile”, e le sinuose animazioni di strumenti musicali. Un universo fantastico, questo di Grondona, dove l’inquietudine si fonde con l’incongruo; dove l’aggressività ostile delle sagome affilate si accompagna alla grazia di morbide movenze curvilinee; dove l’intensità del colore dà vita ad un concentrato dinamismo plastico. Una visione, la sua, cui si attaglia impeccabilmente un’altra descrizione di Lynch: “selvaggia nel cuore ed eccentrica in superficie”.
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OLTRE IL SEGNO mostra d’arte contemporanea a cura di Flavia Motolese
Percepita l’esigenza di rappresentare la realtà filtrata dalla propria coscienza, abbandonando l’imitazione, esprimere la propria interiorità e la visione soggettiva del mondo e risultando insufficiente a rendere tali impressioni una figurazione tradizionale, l’unica soluzione è oltrepassare i limiti della forma, andare oltre il segno e affidare la propria espressività a linguaggi astratti e informali. Con l’esperienza informale l’arte, infranti i termini della mimesi, sceglie di restare coerente alle dinamiche del dato soggettivo. La forma come apparenza del reale viene rinnegata alla ricerca di soluzioni che possano raffigurare il flusso continuo di relazioni tra le cose, cancellando quel senso di incomunicabilità che sembra insormontabile. L’arte informale, pur essendo un movimento artistico eterogeneo, si pone in forte polemica con tutto ciò che, in qualche modo, può essere riconducibile ad una forma, negando con essa la conoscenza razionale che ne deriva. Il concetto di "informale" racchiude in sé il disagio dell’uomo moderno, una crescente sfiducia verso la razionalità e ogni forma di conoscenza, che si concretizza nel rifiuto di qualsiasi forma logica all'interno del contesto artistico. Il gesto, inteso come azione che concretizza il processo creativo, assume un’importanza fondamentale, così come il materiale utilizzato, che da semplice strumento diventa protagonista dell'opera d'arte. Gesto e materia diventano elementi costitutivi della pittura, soggetti autonomi, svincolati da schemi rappresentativi e contenutistici. Anche l’Italia, come gli Stati Uniti e la Francia, vanta una tradizione informale importante: l’astrazione di Afro, la matericità di Burri, la gestualità di Vedova e le provocazioni/lo spazialismo di Fontana. Grandi maestri che aprendo la strada, nel nostro paese, a questa corrente artistica hanno permesso, con le loro sperimentazioni, che si sviluppassero le molte valide proposte che si annoverano nel presente. Questa mostra vuole dare testimonianza proprio di queste molteplici esperienze: declinazioni dell’informale caratterizzate dalla dissoluzione della “figura”, inedite evoluzioni di esperienze concettuali, sintesi di gestualità compositive e segniche. Una narrazione della forza dell’immagine come luogo in cui la libertà creativa dell’artista prende corpo abbandonando ogni schema strutturale significante e convertendo l’ignoto e l’indicibile dell’inconscio.
ARTISTI ESPOSTI: Rosario Abate, Stefano Accorsi, Monica Anselmi, Luigi Bianchini, Pietro Canale, Silvana Franco, Gianluigi Gentile, Bruno Grassi, Hilke Kracke, Gloria Veronica Lavagnini, Riccardo Panusa, Alessandro Pastorino, Paola Pastura, Elisabetta Piu, Camilla Rossi, Gio Sciello, Raimondo Sirotti, Elisabetta Sonda, Antonia Trevisan, Nevio Zanardi.
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