Elizabeth Walterburg sembra aver coniugato le proprie radici argentine e danesi in uno stile personale che richiama per certi versi le inquietudini di Leonor Fini, con un surrealismo che si abbevera alla fonte delle immagini medievali, fino ad arrivare alla citazione, in bilico tra il simbolismo francese e piccole icone hollywoodiane del passato.
COMUNICATO STAMPA
Sabato 11 ottobre 2014 ore 17:00 Palazzo Stella - inaugurazione
MERAVIGLIOSE SOLITUDINI mostra personale di Elizabeth Waltenburg a cura di Flavia Motolese
aperta fino al 22 ottobre 2014 da martedì a sabato ore 15:30 – 19:00
Genova, SATURA art gallery
S’inaugura sabato 11 ottobre 2014 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “Meravigliose solitudini” di Elizabeth Waltenburg a cura di Flavia Motolese. La mostra resterà aperta fino al 22 ottobre 2014 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato.
Elizabeth Walterburg sembra aver coniugato le proprie radici argentine e danesi in uno stile personale che richiama per certi versi le inquietudini di Leonor Fini, con un surrealismo che si abbevera alla fonte delle immagini medievali, fino ad arrivare alla citazione, in bilico tra il simbolismo francese e piccole icone hollywoodiane del passato. Non a caso le tonalità sono il giusto compendio visivo per questo mondo: persino i colori brillanti e caldi assumono qui una pastosità diversa, passionale e cupa che, come per Ania Tomicka, trae chiarore dai visi pallidi e dalla profondità degli occhi; dalle sfumature del cielo o dalla neutralità di pareti bianche mai del tutto candide, derivate dalla scuola fiamminga della luce. È il punto di contatto in cui l’illustrazione per bambini diventa Pop Surrealism e l’allegoria della dama accanto a un animale simbolico muta di significato fino a inglobare una realtà onirica da “Beautiful Nightmeres”. Così, le eroine delle fiabe non sono esattamente quelle che ci si aspetterebbe e i loro famigli hanno un valore semiotico traslato rispetto alla normale concezione. Tra Max Ernst e un bestiario miniato, i rapaci notturni tornano spesso sullo sfondo o come co-protagonisti della scena, a completare un racconto cifrato che non lascia intendere il lieto fine. Non c’è spazio per la visione edulcorata dell’infanzia: come in un video dei Nirvana, le ragazzine stanno per trasformarsi in streghe mentre si avvicinano i demoni che offuscano la ragione. Entrando nell’inquadratura, sono quasi protagonisti di un’inversione che pare umanizzare lo sguardo bestiale ed estrapolare contemporaneamente l’aspetto ferino dell’emancipazione femminile. Tanto i primi piani quanto le campiture lunghe sono la traduzione di un bisogno di libertà che fronteggia la sensazione di vuoto. Ecco allora che i campi di grano, i girasoli, le radure buie sono come un viaggio nella solitudine individuale, la trasposizione grafica di un sogno di Anna Christina Olson, persa nel panorama piatto del Maine che è dentro ognuno di noi. (Testo critico di Elena Colombo)
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