A prima vista non sembra una normale tipografia, ma un insieme apparentemente caotico di macchinari misteriosi e affascinanti, di quadri d’arte contemporanea, di bottiglie da collezione, di maschere africane, statuine, conchiglie, cianfrusaglie di ogni tipo, libri di Picasso.
È l’antro del nostro amico Marino, un luogo della memoria collettiva, un felice punto di aggregazione dei dopo-mostra di Satura, dove si parlava d’arte, si brindava e si rideva in compagnia. Ora è tutto finito, la tipografia smantellata, le meravigliose Heidelberg scomparse, ancora qualche quadro di Mesciulam alle pareti. L’aspetto desolato di un dopo trasloco sembra dissolvere anche la spessa coltre dei ricordi, se non fosse per le fotografie, che scattate qualche anno fa, riescono a catalizzare e a dar corpo alle diverse emozioni che ognuno di noi ha conservato nel proprio cuore. Le foto a distanza ravvicinata riportano l’attenzione sugli oggetti e sugli attrezzi che Marino adoperava quotidianamente. I cassetti sono ingombri di lettere di piombo la cui disposizione spaziale veniva continuamente mutata dall’invisibile mano che li utilizzava di volta in volta. Gli oggetti della vita erano felicemente mescolati con quelli della professione, disposti nello spazio in maniera casuale,dando l’impressione di essere utilizzabili esclusivamente ai fini di un progetto poetico. Il mezzo fotografico è in questo caso pronto a rinnegare la sua origine scientifica di imparziale osservatore dell’ambiente per ridestare i piacevoli ricordi delle serate passate insieme a discutere, a raccontare, ad ammirare i quadri, a sfogliare i libri d’arte, a centellinare deliziosi nettari da generose bottiglie.
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