Elisa Abela Un grosso affare. Fotoromanzi usati
a cura di Paola Paleari; con un testo di Silvana Turzio
s.t. foto libreria galleria via degli ombrellari, 25 Roma
27 febbraio - 31 marzo 2012 lun 15.30-19.30; mar-sab 10:30-19:30 opening: lunedì 27 febbraio, ore 19:00
A due anni dalla sua prima personale, Elisa Abela presenta negli spazi di s.t. foto libreria galleria, dal 27 febbraio al 31 marzo 2012, una nuova serie di collage, frutto delle molteplici sollecitazioni che l’artista continua a cogliere in questa tecnica-simbolo della ricerca estetica del Novecento. Prima di approdare nuovamente a Roma, sempre dividendosi -o meglio moltiplicandosi, tra la creazione visiva e quella musicale- Abela ha esposto i suoi lavori al BOCS di Catania e alla Galleria Nopx di Torino, e ha partecipato al progetto collettivo itinerante Quadratonomade, in programma al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 29 febbraio al 4 marzo 2012. Nel tempo trascorso e nello spazio percorso, Elisa Abela non ha smesso di giocare con le immagini e le parole via via trovate, raccolte, ritagliate, affinando e arricchendo i suoi procedimenti di appropriazione e messa in scena dei documenti cartacei del passato: dai collage su diverse tipologie di supporto (carta semplice, carta fotografica, singole pagine di vecchi libri, plexiglass, fogli di acetato) ai libri d’artista (volumi del passato integralmente riallestiti con ritagli di varia provenienza e album creati ex novo a partire da un percorso narrativo svolto su singoli fogli), fino alla manipolazione tridimensionale degli stessi supporti cartacei. Nella mostra Un grosso affare. Fotoromanzi usati, curata da Paola Paleari, confluiscono un nucleo di lavori direttamente ispirati dal repertorio dei rotocalchi illustrati del secolo scorso, accanto a una serie di opere in cui l’artista dà vita a nuove forme di racconto per immagini e ricrea ambienti di prossimità inedita tra fotografia e testo. Fenomeno editoriale squisitamente nostrano, il fotoromanzo ha destato negli ultimi anni un nuovo interesse, sia come prodotto culturale atipico, specchio di un’epoca in transito dai perbenismi agli estremismi, sia per le sue possibili rivisitazioni in chiave contemporanea e sperimentale. Lo dimostra tra l’altro il progetto recentemente promosso dal Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, con la produzione del fotoromanzo Ricordami per sempre (a cura di Matteo Balduzzi, con fotografie di Marco Signorini e testi di Giulio Mozzi) e della mostra-convegno Scene da fotoromanzo, a cura di Silvana Turzio. Il fotoromanzo è prima di tutto colto da Elisa Abela come modello compositivo, un paradigma linguistico desueto ma ancora vitale di abbinamento tra parola e immagine: sia in quanto racconto illustrato, al quale concorrono tutti gli elementi presenti nella pubblicazione; sia per l’autonomia comunicativa di ogni singola scena fotografica, che si colloca nello spazio della pagina e nel tempo del racconto come un’unità propria, con una sua finitezza semantica e narrativa. E’ poi naturalmente sui contenuti ideologici e simbolici tipici di questo genere di narrazione, sul suo ricco repertorio di situazioni emotive reiterate, prevedibili, ma al tempo stesso sopra le righe, colme di pathos, che si esercita l’azione perturbante e manipolatrice dell’artista. Ne è un esempio Una sera che non dimenticherò, in cui i frammenti tratti da un vecchio rotocalco -principalmente i primi piani dei protagonisti e le frasi d’amore e di gelosia che questi si scambiano nella finzione - vengono ricomposti in una sceneggiatura che lascia trasparire un nuovo universo di inclinazioni sessuali. In un altro libro-collage, Anche io ho commesso un errore ( titolo-ritaglio tratto da una campagna pubblicitaria molto popolare nella sua versione televisiva, ai tempi di Carosello), una personalità nota come Mike Bongiorno - che all’alba della sua carriera fu anche attore di fotoromanzi - perde la sua aura rassicurante e si tramuta in una figura vagamente sinistra. Un ciclo di collage non direttamente legato a una fonte foto-romanzesca, ma capace piuttosto di imprimere un tono di finzione autobiografica a un’opera di tutt’altra matrice, è quello tratto da Il mio sistema per le donne dello scienziato danese J.P. Müller: un manuale di ginnastica femminile di grande successo, pubblicato nel 1913 e più volte rieditato con nuove illustrazioni, da cui l’artista ha estrapolato ed elaborato alcuni elementi ricorrenti in tre edizioni successive. Nei lavori più recenti di Elisa Abela, il legame tra parola e immagine, oltre ad essere affidato al nastro isolante e al tratto di pennarello, è amplificato dall’utilizzo di materiali trasparenti capaci di produrre una realtà multilivello, che distorcendo la tipica fissità della scena foto-romanzesca, rendono la lettura ancora più fitta, intricata, e dunque affascinante. I supporti in materiale plastico e acetato sono utilizzati anche in altre opere: box tridimensionali che con la loro struttura incasellano -o ingabbiano?- vecchie fotografie, e buste sigillate che insieme ad altre foto anonime custodiscono -o rinchiudono?- lettere provenienti dal passato e forse mai aperte. La scelta di utilizzare basi trasparenti e di operare una manipolazione plastica dei documenti cartacei, consente di moltiplicare i piani di lettura del collage, offrendo la visione simultanea delle sue diverse parti e trasformando dunque anche lo spazio esterno in un ulteriore livello di narrazione. Il lavoro che dà il titolo alla mostra, Un grosso affare, si presenta appunto come una “storia a strati” in cui in cui l’artista, partendo da un manifesto pubblicitario degli anni settanta stampato su un supporto semitrasparente, e attraverso successivi interventi con pittura a olio, ritagli di riviste e nastro isolante, riesce a tenere simultaneamente in gioco più scenari di figurazione e di racconto. Che le opere si sviluppino sulle due dimensioni della carta, o che tentino di interloquire con lo spazio circostante, l’obiettivo di Elisa Abela è sempre lo stesso: mettere in scena delle storie tanto simbolicamente stratificate e ambigue quanto immediatamente coinvolgenti.
Silvana Turzio La partitura di Elisa Il fotoromanzo nasce nei primi anni cinquanta del secolo scorso e conosce da subito un successo straordinario: milioni le copie vendute, decine le testate, innumerevoli i lettori e le lettrici. Ha nutrito di happy end migliaia di giovani che hanno trovato nelle sue pagine stili di vita da sognare se non addirittura da seguire, ha riflesso come in uno specchio deformante le problematiche generazionali e sociali degli anni settanta, prima di finire sotto la cenere prodotta dalle vampe della televisione. Eppure il fotoromanzo ancora oggi gode di una fama inossidabile: è marginale in Italia, ma è diffusissimo in Africa e in Brasile. Fotoromanzi di ricerca, apparsi sporadicamente qualche anno fa in forma cartacea, trovano oggi in rete nuove possibilità di espressione. Insomma, il fotoromanzo non solo ha resistito all’onda anomala della televisione, ma oggi rinasce come araba fenice nella multimedialità. La leggibilità estrema del fotoromanzo è il frutto di un connubio perfettamente e sottilmente rodato tra immagine e testo che sottostà a regole ferree. Il dialogo ha da essere semplice, efficace, in relazione formale con la fotografia. Deve evocare la sonorità del parlato mantenendo la grammatica della lingua scritta. Una bella e complessa sfida. Per questo si può pensare che il fotoromanzo risponda nella sua struttura più a un paradigma audiovisivo che a un semplice accostamento di testi e immagini. Per questo Elisa Abela, che è musicista, è così precisa nel suo lavoro sulla polisemia e sulla polifonia del genere. La pagina del fotoromanzo diventa nelle sue mani uno spartito sul quale lavora in un continuo tagliacuci per trarne una partitura sincopata. Scontorna, sovrappone, aggiunge, ricopre di acetati d’antan, e soprattutto cancella cancella e cancella. Il nastro isolante, la nota dominante del lavoro, presenta la doppia natura di cesura e di congiunzione, di pausa musicale e di timbro deciso, di materia dirompente e unificante, elemento di protezione violentemente pregnante sulla fragile consistenza cartacea. Nell’intreccio delle immagini con le parole, trama e ordito del tessuto narrativo, Elisa, -minuta, minuziosa e vorace tarma contemporanea, divora spazi, parole e immagini perché lì, in quell’escavazione curiosa, scopre e, isolandoli, porta in salvo i naufraghi sperduti dei miti delle giovani generazioni di sessant’anni fa. Figure, frasi, dettagli che abitano il lato opposto del mondo del fotoromanzo, illuminati dalla luce fioca di stelle scombinate e ironiche, ma quanto più reali patetici e vivi. Note isolate che risuonano come una eco di happy end sempre più fievole.
Paola Paleari Importanza del conoscersi I fotoromanzi si chiudono spesso con l’indicazione continua: formula magica che lascia immaginare, nelle vicende di chi ritroveremo presto nella densità di poche pagine, un fluire ininterrotto e indipendente dalla nostra presenza. Intravvediamo la medesima sotterranea promessa nella produzione di Elisa Abela, multiforme e incessante, dove il collage è la manifestazione materiale di una moltitudine di intrecci che partono dal vissuto quotidiano: per ogni soggetto conosciuto su carte ingiallite -persona o personaggio, non fa differenza- l’artista imbastisce una seconda vita, suggerendo parole insolite e attribuendo altre abitudini, o applicando le proprie; addirittura per alcuni di essi costruisce alloggi trasparenti dove accomodarli quasi fossero di nuovo a casa. Inevitabile affezionarsi a queste figure, che ci vengono presentate senza gelosia e anzi con complicità: incontriamo fisionomie che sono state custodite a lungo in attesa della loro collocazione ideale; in altri casi invece è l’indole trapelante dall’immagine stessa ad aver catalizzato la genesi della sua nuova esistenza. Persino i nastri isolanti hanno una storia da raccontare e, insieme ai volti ritrovati e alle parole strappate, partecipano alla narrazione personale prima ancora che immaginaria dell’opera. Ammantando d’ironia la commistione tra reale e fantastico, soggettivo e universale, Elisa Abela ci introduce in un fitto labirinto di richiami, contrasti, aneddoti, allusioni; ma il disorientamento è solo nostro, perché, nel continuo captare e cooptare gli stimoli esterni a proprio uso e piacere, l’artista procede demiurgicamente, assegnando la funzione ideale e il giusto peso ad ogni elemento. Noi interveniamo nella fase finale di questa regia, quando la storia è stata plasmata e i ruoli sono già definiti; ma basta darsi il tempo di fantasticare un po’ perché le sagome di Elisa si trasformino anche per noi in figure familiari.
Elisa Abela Nata nel 1980 a Crotone, ma cresciuta a Catania, Elisa Abela vive ora a Roma, combinando la sua ricerca visiva con l’attività musicale. Polistrumentista (chitarra elettrica, sax alto, batteria), dal 2008 suona con Joe Lally (Fugazi), con il quale ha realizzato l’album Why Should I Get Used To It (Dischord, 2010) e dal 2009 anche con la band di musica elettronica Urinate. Con la cantautrice anglo-italiana Eli Natali dà vita al trio The Moustaches e avvia un progetto electro industrial, Cometomama, realizzando un primo album: For Cats and Dogs (Doremillaro, 2010). Ha collaborato a diversi progetti espositivi firmati dal collettivo canecapovolto, fra cui Presente Continuo (2008, Francesco Pantaleone arte contemporanea, Palermo; Galleria gianlucacollica, Catania), Diwan (2010, Galleria gianlucacollica, Catania), Hologram (Riso, Museo d'arte contemporanea della Sicilia, Palermo, 2011). Nel 2010 presenta la sua prima personale da s.t. foto libreria galleria, Roma: Il fotografo tremolante, Rurù in castigo e altre opere su carta, a cura di Matteo Di Castro, con un testo di Emanuele Trevi e un video-ritratto di canecapovolto, che ha curato poi anche la mostra Smitty il gatto e altre storie (2010 - Bocs, Catania). Nel 2011 ha esposto alla Galleria Nopx di Torino (in occasione del concorso internazionale sul libro di artista Nopx|artbook) e ha partecipato al progetto collettivo itinerante Quadratonomade, in programma al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 29 Febbraio al 4 marzo 2012.
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