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Writing News - Books | by SuccoAcido writing in Writing News - Books on 10/05/2011- Comments (0)
 
Berretta rossa
La berretta rossa è il copricapo dei birocciai bolognesi che trasportavano barbabietole e ghiaia con il loro cavallo, ma è anche il nome di una via nel quartiere Santa Viola di Bologna, dove prese vita il primo centro sociale occupato in città. Mescolando realtà e finzione e affidandosi alla propria memoria storica gli autori, Serafino D’Onofrio e Valerio Monteventi, ripercorrono quasi quarant’anni di antagonismo bolognese.
 
 
Giovedì 12 maggio
ore 21,30
MODO INFOSHOP


BERRETTA ROSSA
Storie di Bologna attraverso i centri sociali
di Serafino D’Onofrio e Valerio Monteventi
Edizioni Pendragon

Con gli autori parteciperanno la giornalista Valentina Avon e Maurizio Cecconi

La berretta rossa è il copricapo dei birocciai bolognesi che trasportavano barbabietole e ghiaia con il loro cavallo, ma è anche il nome di una via nel quartiere Santa Viola di Bologna, dove prese vita il primo centro sociale occupato in città.
Mescolando realtà e finzione e affidandosi alla propria memoria storica gli autori ripercorrono quasi quarant’anni di antagonismo bolognese.
Le storie del libro sono quasi tutte vere, mentre i protagonisti sono quasi tutti inventati. Se qualcuno si identificherà in uno dei tanti personaggi di fantasia, proverà il brivido di sentirsi un eroe dei cartoni animati.
Si parte dal “Berretta rossa” del 1976, si rivivono le vicende dell’Isola nel Kantiere, della Fabbrika, del Livello 57, del Tpo, del Lazzaretto e si arriva agli episodi più recenti di Crash, Vag 61 e Bartleby.
I centri sociali bolognesi sono stati laboratori di politica e cultura, fucine di lotte e di forme alternative di socialità, ma anche, in primo luogo, aggregazioni di ragazze e ragazzi che hanno deciso di aderire a un comune insieme di valori.
È una storia di ribellione e creatività, segnata da occupazioni, sgomberi, scontri e contestazioni di cui è importante rintracciare le origini perché, come sostiene Valerio Evangelisti nella prefazione, una ricostruzione delle storie individuali può aiutare moltissimo a ricomporre la storia collettiva, di Bologna e del nostro paese.
Il Gladiatore della Memoria, che è uno dei personaggi principali del libro, non sarebbe diventato un “contastorie” se, sulle pagine di Mongolfiera e di Zero in condotta, tanti giovani giornalisti e tante giovani giornaliste (compresi i collaboratori) non avessero scritto di centri sociali e di culture underground, quando il genere non tirava sui “media egemonici”.
Essendo un racconto composto da esperienze di socialità, impegno e convivenza assolutamente fuori dai canoni, il volume non è leggibile sotto ogni latitudine. Secondo gli autori sarebbe consigliabile come testo scolastico per le scuole medie superiori, mentre è controindicato per i politici dei palazzi, “che non hanno mai capito niente dei centri sociali e che, leggendo queste pagine, aumenterebbero a dismisura i loro casini”.


Serafino D’Onofrio è nato 58 anni fa a Napoli e vive a Bologna dal ’77. Ferroviere, scruta sempre l’orizzonte per scorgere il sol dell’Avvenire. Da qualche anno, ha gli occhiali ma l’alba del socialismo non si è ancora vista. Mentre la politica impazziva, è rimasto fermo e si è ritrovato più a sinistra di tanti altri. È stato anche dirigente sportivo, senza muoversi mai. Scrive, come un marziano, sul «Resto del Carlino». A Bologna si è sbattuto politicamente, con alterne sfortune. È stato un consigliere comunale molesto e, per strada, ha incontrato i ragazzi dei centri sociali.


Valerio Monteventi ha fatto per undici anni l’operaio alla catena di montaggio della Ducati Moto, per venticinque anni il “pilone” in una squadra di rugby bolognese (sempre quella). Quando i teorici dell’operaismo accantonarono la figura dell’operaio-massa per l’operaio-sociale, lui divenne uomo dai mille mestieri: giornalista, impaginatore, stampatore, editore, preparatore atletico, ghost writer, astronauta russo in un serial televisivo, consigliere comunale, cuoco in una mensa sociale.
Giornali e riviste indipendenti, «Mongolfiera» e «Zero in condotta», sono stati il suo pane quotidiano. I movimenti e le “turbolenze” delle piazze sono state il suo “sangue nobile”, i centri sociali le sue “fabbriche dei sogni”.
“Fare strada agli ultimi senza farsi strada”, è il motto che ha rubato a Don Milani.
“Rimuovere ostacoli è una gran fatica, ma, alla fine, dà un gran gusto”, questa è sua, ma nessuno gliel’ha mai rubata.
 
 
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