Le forme regolari e semplici, le calde tonalità cromatiche, le figure statiche, il segno definito e vivace, i piani e i volumi spesso inclinati caratterizzano le opere di Fulvio Tornese. Ogni scena, pur nell’ingenuità di linee e segni, è una rappresentazione dei suoi sogni in cui il protagonista incontrastato è l’uomo e il suo io che in un continuo confronto tra mondo interiore ed esteriore cerca di caratterizzare l’identità del suo “essere”, tratteggiato in un omino-gigante che girovaga nello spazio in direzione orizzontale, verticale e obliqua, con indosso un grande e goffo abito. Una figura goffa e imponente inserita in un ambiente surreale molto distante dalla sua intima realtà.
C'è un mito profondo e ricorrente nella cultura mediterranea, quello dei Giganti che vogliono scalare l’Olimpo ma sono sconfitti dai fulmini di Giove. L’opera di Fulvio Tornese rievoca con le sue colossali figure l’antico mito greco ma i suoi giganti sono una stravagante compagnia in bilico tra favola e realtà, sospesi sull’orlo della vita che vivono della palpabile consistenza dei loro sogni in una continua ebbrezza celeste. L’artista ci pone di fronte ad una semplice verità: il linguaggio concettuale può coesistere con quello poetico e la pittura diventa strumento non per entrare in contatto con le cose, ma per interrogarle nella loro essenza. La leggerezza e la fantasia che caratterizzano i suoi lavori non devono ingannarci, i quadri sono sottoposti a un’accurata regia, indagati e faticosamente ricercati a testimonianza di un lavoro artigiano che si concentra assiduamente sulla materia, sulla linea e sul colore. Nelle costruzioni di volumi risuona la sua natura d’architetto ma nella pittura, che pratica con passione da sempre, Tornese mette in opera una meta-realtà che è fatta di paesaggi, di oggetti e di personaggi fantastici. Proprio il paesaggio, protagonista assoluto della sua precedente produzione, ora tende a farsi da parte; “Ti-incontrerò” è l’opera di confine, all’aeroplanino, che sfrecciava nel cielo, sono spuntate le gambe ed è costretto ad arrancare faticosamente nel nulla. La metamorfosi non si è definitivamente compiuta e gli uomini di “Una sola moltitudine” (titolo tratto da Pessoa) sono ancora indecisi su cosa diventare a dispetto della loro consistenza volumetrica che si consolida sugli sfondi e lungo le linee dell’orizzonte. Una sola moltitudine è formata da diciotto omini che, come uno stormo solitario, in cerca della riva su cui svernare, vola sospeso in uno spazio etereo, guidato da un istinto primordiale, verso spiagge ancestrali e primigenie su cui riposare. E’ forse questo il reale destino che Tornese liricamente indica con un linguaggio onirico espresso in colori e in simboli che variano da sogno a sogno, da tela a tela. Ogni opera di Tornese ha un suo tono cromatico che esprime un’atmosfera fiabesca, onirica, ma anche ansiosa, che vagamente rimanda all’arte della nuova figurazione degli anni Ottanta di sapore surrealista.
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