Venerdì 13 novembre 2009, ore 18.00

UNO STATO DI GRAZIA
Florinda Pecoraro

L’evento è una traccia del momento di raccordo tra un periodo vissuto a Parigi e un periodo iniziato a Palermo. Dentro tra l’appena-prima e l’appena-dopo, in dilatazione. Sono state scelte alcune stampe del ciclo tematico Lo stesso turchese lo stesso ocra, studio di composizione istantanea attraverso tecniche di incisione su rame e i metodi di stampa a colori simultanei, iniziato durante il soggiorno in Francia all’atelier Contrepoint - ex atelier 17. Lo studio vede alla complessità come all’incontro di azioni semplici, come cosciente tentativo di composizione ridotta e possibilità all’infinito di essere ripetuta fino alla trasformazione.
Tre carte da spolvero di grande formato dipinte a china e inchiostro calcografico verranno mostrate di questo proseguire palermitano. Il mare presentificato ha i verdi che si vedono da barche attraccate all’Arenella. È un’acqua con una bellezza che va aldilà del bene e del male.
Verrà montato un quarto pannello di carta intatta, grado zero e interstizio vuoto in trasformazione con l’intorno nel corso delle due settimane a venire.
Uno stato di grazia è uno stato di vitalità, vivificata che vivifica.
E’ un’abitare, una forma di presenza.
Questo stato implica un agire che non è solo una questione privata; come una doppia cattura aggancia l’altro, ne è agganciato e crea ancora un’altra direzione, un’altra via. Uno stato di grazia è un travaso da una dimensione della possibilità a un'altra, e per questo diviene multiforme e radicale, passando attraverso ogni forma di mutil-azione.
Florinda Pecoraro lavora per le arti performative; vive attualmente a Palermo.


La traccia, il diagramma, la figura: qualche nota su Uno stato di grazia di Florinda Pecoraro

Nel 1917, William Marston inventa il Poligrafo, o «macchina della verità»: alla persona sottoposta ad interrogatorio si applicano diversi strumenti di misurazione, e le variazioni fisiologiche vengono convertite e sincronizzate in diagrammi riprodotti per mezzo di speciali pennini su un rullo di carta millimetrata.
Mi piace ritagliare questa mirabile invenzione dalla storia dei suoi usi coercitivi, e contemplare, ammirata, l’esile strumento filiforme mentre traduce in tempo reale l’universo del propriocettivo e ne disegna la mappa. Se dovessi cercare un genere d’appartenenza per il lavoro di Florinda Pecoraro, l’affiliazione più saliente sarebbe forse questa nuova scienza cartografa: a monte di ogni singola tavola, un dispositivo di conversione dell’esperienza percettiva in tracciato visivo.
Ricerca sui generis, all’incrocio fra improvvisazione corporea e arti visive, Uno stato di grazia non si limita a riportare su carta o lastra le tracce dell’azione performativa (scontato commentare che qualunque tela è il risultato di un processo), ma elegge la natura e la qualità dell’azione di inscrizione a oggetto principale della propria poetica. In questo senso il ricorso all’immagine della macchina è necessario, in quanto sottrae la performance ad associazioni ingenue quanto datate – la libera espressione di una creatività illimitata e non meglio definita, eletta a valore in quanto tale – per individuarne la nuda dinamica: sincronia con l’ambiente, presenza incondizionata al qui e ora dell’accadere, irreversibilità dell’azione. Assetto macchinico di impulsi e reazioni che richiede, nelle sue versioni più riuscite, un corpo allenato, costruito da un lungo lavoro di astrazione, agli antipodi stessi di una presunta spontaneità. Un corpo rituale, poiché ogni gesto è efficace. Vuoto, puro medium fra il mondo e il mondo. Singolare, perché co-determinato nella contingenza dell’incontro con l’esterno. Un corpo in ascolto. Termine ambiguo, usurato, ma che, se privato della visione celebrativa e pacificante (e soprattutto statica) di una comunione Io-Mondo, descrive un neutro processo di sincronizzazione con l’ambiente, di riassetto perpetuo a nuovi equilibri fra forze.
Questo il corpo convocato dai segni nitidi che popolano Uno stato di grazia: nudità della traccia che rimanda a un’azione essenziale e necessaria di risposta agli input esterni.
Attestazione di una prassi traduttiva, la densità della serie non si risolve però nell’esplicitazione della propria genesi. Al contrario, l’azione performativa dell’artista palermitana è soprattutto originale strategia di costruzione compositiva: linee precise e colori vividi realizzano sotto gli occhi dell’osservatore lo sdoppiamento, netto, fra la mappa e l’immagine.
La mappa: dilatazioni e addensamenti, rarefazione, sincopi, distensioni, offrono al corpo del guardante un ritmo cui accordarsi e gli propongono l’esperienza di una dinamica sensibile.
L’immagine: percezione nitida, donata allo sguardo, di un presente singolare sganciato dalla sua storia, che permane unicamente sottoforma di sensazione. Fortunati assetti plastici, a volte, evocano frammenti di ambienti e personaggi: un altrove indeterminato, parzialmente informe, emerge da strutture chiare e spoglie perché ognuno lo vivifichi con il proprio immaginario.
Per eccesso, per deformazione, per sottrazione, per dissoluzione, una delle tensioni più fertili dell’arte contemporanea è stata e continua ad essere la ricerca ossessiva di un’alternativa all’immagine-cliché di matrice mediale, consolatoria e atrofizzante in quanto sempre già data. Il lavoro della Pecoraro si inscrive nello stesso moto di resistenza: nella formulazione di uno sguardo rinnovato, la ricerca sottesa a Uno stato di grazia esce dal privato e acquista postura politica. La strategia, personalissima, è quella dell’immagine-diagramma: i vincoli della performance diventano escamotage per costringere il proprio fare in un percorso artistico di rinuncia a derive estetizzanti e a soluzioni preconfezionate, al fine di distillare forme nuove, che riaprano l’orizzonte del mostrabile.
Traccia di un agire singolare. Diagramma di uno stato sensibile. Figura nascente. Uno stato di grazia, augurio e poetica della nuda presenza.

Maria Cristina Addis