Il 19 ottobre scorso il telegiornale ha esordito, all’ora di pranzo, con la notizia, tra i titoli principali, di un’azione vandalica. Le parole pronunciate dai giornalisti di tutte le reti televisive, in questa occasione, sono state concordi e suonavano più o meno così: un delinquente, sconosciuto e quasi invisibile, ha insozzato la Fontana di Trevi, a Roma, in pieno giorno. Il pazzo in questione ha versato del colorante rosso nell’acqua della fontana di fronte agli sguardi incuriositi di centinaia di turisti che quotidianamente affollano la piazza, una tra le più famose e visitate d’Italia. Scandalo, attentato, pazzia.
L’immagine della fontana insanguinata che, riciclando l’acqua, ha cominciato a colorarsi fino in cima, offrendo l’incredibile spettacolo del liquido colorato che sgorgava persino dalle bocche, ha fatto il giro delle case italiane ed è stata immortalata dalle fotocamere dei presenti.
La notizia è degna di attenzione almeno per tre motivi: l’efficacia comunicativa del gesto vandalico. La qualità dei commenti giornalistici, la sicumera delle sentenze formulate in fatto d’arte.
Quanto al primo punto, voglio precisare che il riconoscimento del soggetto che ha compiuto l’atto di colorare la fontana, come un esponente dell’estrema destra mi rammarica da persona di cultura e da pensatrice libera e democratica. Il coinvolgimento politico dell’uomo in organizzazioni extraparlamentari connota la sua azione deviandone il potenziale comunicativo che pure esiste.
Mi sembra evidente infatti che un gesto simile abbia un’efficacia incontestabile, testimoniata anche dall’impatto mediatico che lo ha accompagnato. Cosa può essere più loquace di un attentato innocuo e colorato ad un simbolo della cultura Italiana? Peccato che sulle molteplici connotazioni di un’azione spettacolare non si rifletta abbastanza da un punto di vista lucido e prospettico, capace di illuminare i risvolti culturali e sociali dell’evento e della sua ricezione da parte della comunità e dei mezzi di informazione. Proviamo ad allontanarci dall’uomo, fascista o meno, artistoide o pazzo, impostore o furfante, (non credo serva ribadire la mia distanza dalla sua posizione dichiarata nel volantino di rivendicazione) per osservare invece il contesto in cui si situa la sua performance.
É divertente, infatti, verificare come, ancora oggi, in Italia si verifichi un blocco cognitivo ogni qual volta ci si approcci ad un simbolo del patrimonio culturale, artistico certo, ma non solo, che ciascun cittadino è orgoglioso di riconoscere come elemento della propria italianità.
Il punto è che nelle informazioni televisive diffuse per due giorni consecutivi, si è fatto riferimento alla fontana di Trevi in termini affettivi, sacrali e, azzarderei un quindi, cinematografici.
Sospendendo per un momento il racconto e il commento dell’episodio, vorrei infatti sottolineare come, nell’esposizione dell’allarmante notizia, non vi sia stato alcun riferimento storico artistico al monumento in questione. Un cenno all’autore, allo stile, alle peculiarità architettoniche, alla data di realizzazione: nulla di tutto ciò è stato preso in considerazione come elemento rilevante almeno nell’accompagnare le immagini, almeno come didascalia.
Non è per pedanteria che mi concentro su una simile omissione, ma per mostrare come dietro ogni scandalo vi sia, nella maggior parte dei casi, l’ignoranza di un popolo intero.
Tanto per rendergli giustizia, ricordo allora che l’autore della Fontana di Trevi, dai più ignorato, fu Nicolò Salvi che ne realizzò il progetto nel 1732, dopo aver vinto un bando commissionato da Papa Clemente XII Corsini per uno dei lati di palazzo Poli. La prima inaugurazione dell’opera risale al 1735, ma la fontana venne completata soltanto nel 1762 sotto il pontificato di Benedetto XIV, ad opera di Giuseppe Panini, succeduto nel cantiere allo scomparso Salvi.
Storia dell’arte in pillole che è facilmente reperibile su un testo scolastico o su una guida di Roma ma che è stata significativamente scartata dalla serie di informazioni raccolte nei servizi televisivi.
La carta stampata, naturalmente non è caduta in tali superficialità ma non per questo è stata più acuta nelle analisi dell’accaduto.
Torniamo alla fontana e all’immagine di essa che i telegiornali ci hanno propinato per farci urlare allo scandalo con sentimento unanime, dal nostro desco quotidiano (bisogna pur indignarsi una volta al giorno).
Le parole spese sull’importanza del monumento riguardavano infatti la sua fama cinematografica, il motivo per cui è divenuto un culto e un luogo da visitare a tutti i costi.
Certo! La fontana di Trevi non deve essere sporcata, non può essere danneggiata e oltraggiata per non offendere Marcello Mastroianni! ... E io che non ci avevo pensato! Ma dove vivo?
Le immagini diffuse insieme alla notizia erano quelle de La dolce vita, film decisamente complesso, acuto, e poco compiacente del gusto borghese della Roma manierista che mette in scena. Eppure, benché in pochi in Italia ne ricordino la trama, o ne sappiano abbozzare un’analisi, la scena della fontana è sacra e nessuno ce la deve toccare.
Allora si è pure detto, in occasione del recente gesto del pazzo, che sarebbero stati proprio i due protagonisti del film a soffrire di un simile oltraggio.
Bene, non sono proprio riuscita a far finta di niente.
L’ignoranza che sostanzia ogni affermazione del genere è il ritratto di un pubblico italiano rincoglionito che si batte per la difesa dei propri beni artistici solo nel momento in cui vi si avvicinano i divi del cinema.
E il pazzo? Naturalmente ha rivendicato l’attentato. Ha dichiarato la natura artistico/politica del proprio fare, in questo caso non nocivo, nei confronti della fontana di Trevi. Si è dichiarato un neo Futurista, si è rifatto alle azioni inquinanti di Marinetti e compagni, i quali, ricordiamolo, spargevano volantini di carta dagli aeroplani per le strade delle città e inneggiavano alla guerra, ma che oggi sono protetti dall’aura della storia proprio da chi non ne ha mai letto neppure i Manifesti. Anche in questo caso va menzionata la difesa del movimento Futurista da parte dei nostri colti telegiornali. Si è addirittura sentito il bisogno di allontanare dalla mente dei telespettatori l’accostamento, certo pretenzioso, ma non così assurdo, dell’attentato alla fontana e delle azioni futuriste dei primi del 900.
Mi piacerebbe capire meglio la natura di una tale concentrazione di denunce e di toni tanto perentori quando non sono sufficientemente sostenuti da una conoscenza artistica che avvalorasse le osservazioni trasmesse in televisione. Parole in libertà da parte dei media, come ogni giorno, soprattutto quando tentano di accostarsi alla cultura. Ma pretendere briciole di cultura almeno dalla Rai è così assurdo? Sarà un oltraggio anche il mio scritto? Ingenuità, sicuramente.
Il fatto è che gesti come quello che ha preso di mira oggi un simbolo del nostro Paese, colorandolo, si susseguono proprio nella storia dell’arte ormai da più di un secolo e hanno visto, con una frequenza sempre crescente, gli artisti di tutto il mondo impegnarsi in una ridefinizione del rapporto tra arte e vita, arte e politica, arte e storia. L’attacco ai simboli della cultura e del potere è stato effettuato dai movimenti d’avanguardia come da tutte le generazioni successive che da essi hanno tratto spunto. Basti ricordare l’Internazionale Situazionista o l’enorme apporto di Fluxus alla storia dell’arte contemporanea, come, naturalmente dell’Happening e della Body Art. In pochi ne hanno sentito parlare e in tanti urlerebbero allo scandalo tutt’ora per ciascuna di queste pratiche, sorrette o meno da intenzioni politiche. Non cerco affatto di legittimare, indicandolo come arte, l’intento provocatorio di un fascista, ma, ripeto, è il contesto a parlare più del fatto circoscritto. E se non fosse stato un appartenente all’estrema destra? E se a colorare l’acqua fosse stato un cittadino intraprendente e irriverente? Sono sicura che avrebbe suscitato ancora più stupore, anzi orrore nell’opinione pubblica. Non avrebbe infatti scuse e cornici interpretative, non sarebbe inserito in un contesto che gli conferisca un senso, che lo ridimensioni.
Il fenomeno curioso che qui mi interessa sottolineare è che oggi, ciò che un tempo era scandalo, protesta, rivoluzione culturale, decostruzione dei falsi miti del progresso e del capitale, rappresenta uno spettacolo diffuso: le azioni dirompenti vengono organizzate dai musei e dalle gallerie d’arte che ne comprano in anticipo l’effetto, neutralizzandolo.
Basti pensare ai finti interventi di un eretico come Hermann Nitsch, che dell’Azionismo Viennese forse non ha più nemmeno il ricordo e ha fatto il giro dei musei, uno tra tanti il MACRO di Roma, simulando riti orgiastici e versando sangue su tele bianche di fronte al pubblico pagante. Che tristezza! Allora concludo chiedendomi come sarebbe stata presentata la stessa notizia di un pò di colore rosso nell’acqua della fontana qualora si fosse trattato di un numero da circo organizzato da un Museo d’arte contemporanea o da un magnate dell’arte che avesse anticipatamente avvertito i media dell’evento mediante il suo potente ufficio stampa.
Forse sarebbe stato un successo!
Ecco che tra i presupposti di uno scandalo vero e della paura interpretata e diffusa dai media , oltre l’ignoranza sopra citata, aggiungerei anche la mancata organizzazione economica da parte del sistema dell’arte e dello spettacolo.
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