teatro delle albe / ravenna teatro non-scuola (prologo)
giovedì 27 febbraio ore 21, Teatro Rasi Fondazione Flaminia per l’Università in Romagna
MAHAGONNY LA TRAPPOLA ispirato all'opera di Bertolt Brecht
con Luca Alesi, Keyvan Baharvand, Giulia Bartolini, Silvia Calderoni, Alessandra Caruso, Arianna Duri, Federico Franciamore, Gaia Gardella, Rosaria Langone, Riccardo Lusuriello, Lara Mannu, Giusy Mingolla, Enrico Montanari, Garazi Montuschi Mujika, Martina Mugnaini, Jacopo Piva, Rocco Roncuzzi, Amanda Rossi, Valentina Rosso, Sharon Succi, Natasha Trentadue, Damiano Valeriani, Lorenzo Vito, Lorenzo Zaffagnini
guide Roberto Magnani, Simone Marzocchi
insegnante assistente Angela Nevoso
"La non-scuola non si chiamava così, ma esisteva già dal ’91, quando alle Albe venne assegnata la direzione del Rasi. Marco e Maurizio Lupinelli cominciarono a tenere dei laboratori teatrali nei licei. All’inizio vi parteciparono solo quaranta studenti, che poi per contagio, anno dopo anno, divennero dieci volte tanti, coinvolgendo tutte le scuole della città. Non andavamo a insegnare. Il teatro non si insegna. Andavamo a giocare, a sudare insieme. […] Scuola e teatro sono stranieri l’uno all’altra, e il loro accoppiamento è naturalmente mostruoso. Il teatro è una palestra di umanità selvatica e ribaltata, di eccessi e misura, dove si diventa quello che non si è; la scuola è il grande teatro della gerarchia e dell’imparare per tempo a essere società. […]. Le tecniche sono nel gioco, incarnate. Abitano il fare. I ragazzi le assumono come regole necessarie, nel divertimento e nella fatica che costa "saper giocare bene". E il giocare porta alla partita! Alla partita con il pubblico, allo stesso tempo avversario e amante, turbolento come nell’Atene di Aristofane. Ogni gruppo conclude il proprio lavoro con uno spettacolo, una serata unica: il Rasi si riempie per la "prima" e "ultima", non si danno repliche, è un rito di iniziazione. I 400 studenti che ogni anno salgono sul palco, i 5.000 che ogni anno arrivano per applaudire, chiamar per nome, sbeffeggiare, osannare, rappresentano insieme l’energia della polis (i "poli", i "molti") che irrompe in teatro. E una presenza sporca, volgare, è "volgo" che invade il teatro, dentro e fuori la scena. L’esito è barbaro e fertile. Le oscenità di Aristofane prendono senso sulle bocche dei quindicenni, sembrano scritte ieri, anzi adesso, e ci ricordano che quei testi, inascoltabili sui palcoscenici degli impiegati puntuali alla loro battuta, sono testi dell’infanzia del teatro, e che per restituirli all’oggi, lasciandone intatta la carica ludica e trasgressiva, bisogna essere infanzia. I satiri di Sofocle vengono impugnati senza bisogno di filologia, partendo dalla propria condizione di satiri di periferia. L’erotismo delle coppie di Marivaux e Shakespeare si incontra con il timido furore amoroso di quelle età di mezzo […]."
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